Mattarella è il crocevia della stabilità

Il Quirinale si conferma il crocevia in cui si mettono in equilibrio, finché è possibile, le tensioni politiche di questa pazza legislatura. Non sarà un caso che, a distanza di poche ore, sia Mario Draghi che Giuseppe Conte, protagonisti di uno scontro a distanza di notevole asprezza, siano saliti
al Colle a riferire e, soprattutto, ad ascoltare l’opinione di Mattarella.

La cui parola è come un muro a difesa della stabilità di governo nel momento difficilissimo in cui servirebbe piuttosto una sorta di «gabinetto di guerra» con cui affrontare insieme le mille emergenze che travagliano il mondo e l’Europa. A Mattarella Giuseppe Conte ha ribadito che il M5S non ha intenzione di uscire dal governo e di limitarsi all’appoggio esterno. E sempre a Mattarella Draghi è andato a spiegare che terrà la barra dritta nonostante le contorsioni di un partito di maggioranza relativa che vive la fase finale della sua breve stagione politica. Così si spiegano infatti le parole dedicate da Draghi, durante la conferenza stampa di ieri, alla questione sollevata in queste ultime ore, ossia le sue presunte pressioni su Grillo perché si liberi di Conte. Il presidente del Consiglio ha sfidato gli avversari a portare le prove di queste affermazioni e poi ha lanciato l’ultimatum: non esiste un governo senza M5S, e questo – ha detto – è l’ultimo governo della legislatura da lui presieduto.

Cosa vuol dire? Vuol dire che Draghi chiede a Conte una scelta molto più precisa di quella fatta finora: deve respingere le tentazioni dei deputati e dei senatori peones – cioè privi di incarichi ministeriali – di uscire dal governo nella convinzione che, riprendendosi una certa libertà d’azione, si potrebbe salvare il Movimento dalla sua decadenza elettorale, ormai data da tutti per certa soprattutto dopo la scissione di Di Maio e dei suoi sessanta-settanta seguaci. Se Conte non ferma questa deriva delle sue smagrite truppe parlamentari, Draghi lo avverte: si va subito a votare, non c’è un «piano B», un governo diverso, un pateracchio per tirare a campare. Ma se si andasse a votare subito il Movimento ne uscirebbe spazzato via dagli elettori giacché non ci sarebbe nemmeno il tempo di quella «riconquista della verginità rivoluzionaria delle origini» di cui vanno parlando i Di Battista e quelli come lui. Sarebbe come cadere nel burrone: questo davvero nessuno, né Conte né Grillo né l’ultimo delle file grilline, può volere una cosa del genere. «Ci stanno spingendo fuori con continue provocazioni» si lamenta il contiano Patuanelli, ministro dell’Agricoltura: la realtà è che è il Movimento ad essere diviso tra le sue mille anime, tutte preda del panico da disfacimento.

Dunque Draghi va avanti per la sua strada convinto che alla fine prevarrà l’istinto di sopravvivenza del M5S. Senza sottovalutare però ciò che accade a destra: la Lega è sulle barricate per alcune proposte di legge parlamentari del centrosinistra tra cui soprattutto il cosiddetto «ius scholae» che prevede di concedere la cittadinanza italiana a quei ragazzi nati nel nostro Paese e che abbiano compiuto un ciclo scolastico. Il grido di guerra dei leghisti è: «Faremo le barricate!» e si coglie in queste drammatizzazioni una voglia simile a quella che pervade le truppe grilline: la presa di distanza dalla maggioranza e, fatalmente, dal governo, per poter riconquistare il terreno perduto a favore di Fratelli d’Italia. Draghi ha dunque due spine nel fianco e una certezza: senza di lui la legislatura precipiterebbe nel vuoto e porterebbe con sé le ambizioni di almeno due partiti «di governo».

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