Mattarella, l’arbitro lungo la via obbligata

Il commento Il suicidio della politica ha le stimmate del populismo che è progressivamente dilagato nel Paese e, di conseguenza, nel Parlamento.

La «danza macabra» del M5S, della Lega e di FI con l’abbandono dell’aula del Senato e con il non-voto, hanno reso impraticabili altre vie che non siano le elezioni anticipate. Il gioco al massacro operato da quelle forze politiche forse produrrà piccoli vantaggi in termini elettorali, ma peserà come un macigno sulle spalle del cittadini. Le dimissioni di Draghi sono non soltanto un gesto obbligato, ma sono soprattutto la presa d’atto da parte del premier dell’indisponibilità delle forze politiche che hanno affossato il governo a esplorare ulteriori possibilità di dialogo e di recupero. Adesso il pesantissimo fardello passa nelle mani del presidente della Repubblica. Mattarella aveva già dato prova della sua saggezza, concordando con Draghi, per la richiesta della fiducia alle Camere, un lasso di tempo utile (si sperava) per un rinsavimento di Conte e della pattuglia dei guastatori. Così non è stato e le elezioni anticipate sono state l’unico sbocco possibile.

Mattarella si è trovato nella condizione di non poter affidare l’incarico ad un parlamentare, un politico «di professione», che sarebbe stato affossato dai veti incrociati in mancanza di una solida maggioranza

Come è noto, l’articolo 92 della Costituzione offre ampi margini di manovra al capo dello Stato nella risoluzione delle crisi di governo. Tali spazi istituzionali sono stati adoperati, negli oltre 70 anni di storia repubblicana, con sapienza, pazienza e talvolta con audacia, come fece Einaudi nel 1953, affidando a Pella - senza fare ulteriori consultazioni - il compito di formare un governo. Tale opzione si è rivelata, in questo frangente, impossibile da praticare. Già la designazione di Draghi, all’inizio dello scorso anno, fu accolta a malapena dalle forze politiche. Ma la scelta del capo dello Stato fu rafforzata da una condizione: coinvolgere il più ampio consenso possibile tra i partiti, ascoltandola ad una serie di precisi obiettivi. Strada non dissimile aveva seguito, negli anni Sessanta, Giuseppe Saragat, indicando nella formula del centro sinistra il perimetro dei partiti con i quali governare. Tale metodo adesso non era praticabile, per il semplice motivo che lo scardinamento dei partiti, l’irresponsabilità di alcuni leader non permetteva margini di manovra al presidente della Repubblica. Qui il dubbio si presenta amletico, rivelandosi praticamente irresolubile. È venuta meno la scelta dell’optimum (Draghi), Mattarella si è trovato nella condizione di non poter affidare l’incarico ad un parlamentare, un politico «di professione», che sarebbe stato affossato dai veti incrociati in mancanza di una solida maggioranza. Ancor meno praticabile era l’ipotesi di un governo «tecnico» contro il quale il Parlamento avrebbe fatto le barricate.

Nella sua delicatissima posizione di garante degli equilibri tra i poteri costituzionali, il presidente dello Stato ha potuto soltanto prendere atto che l’avventurismo politico di alcuni leader di partito ha ottenuto l’effetto di creare lo stallo sulla scacchiera istituzionale. Tutti vincitori o tutti perdenti? Indubbiamente ad essere perdente è il Paese. Perdenti sono i cittadini, che assistono con sgomento (o, peggio con disincanto) alla irresponsabilità di molti dei loro rappresentanti. Se fossimo su un campo di calcio, l’arbitro avrebbe tirato fuori numerosi cartellini rossi,ma siamo in politica nella quale raramente i falli vengono sanzionati. Cosa accadrà nei prossimi giorni? Di certo Mattarella resterà strettamente fedele agli ambiti e ai limiti del suo ruolo di garante della Costituzione.

Nei prossimi mesi un governo dimissionario e senza maggioranza dovrà approvare la legge di bilancio, garantire l’uso corretto puntuale dei fondi del Pnnr

Quindi, si volta pagina con rischi altissimi per la situazione economica del Paese, per le famiglie alle prese con un’inflazione crescente, con una pandemia che non arretra. Per non parlare delle ricadute provenienti dall’invasione russa in Ucraina. Lo scenario è cupo (quale che sarà l’esito elettorale), poiché nei prossimi mesi un governo dimissionario e senza maggioranza dovrà approvare la legge di bilancio, garantire l’uso corretto puntuale dei fondi del Pnnr. Si tratterà di scalare una parete di montagna a mani nude. A elezioni avvenute il capo dello Stato avrà il compito di arbitro nella scelta del prossimo presidente del Consiglio. Ogni previsione al riguardo è impossibile, perché dipenderà unicamente dalla volontà popolare. Con la flebile speranza che gli elettori siano migliori di alcuni degli attuali «rappresentanti del popolo».

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