Mille piccoli Mose
per i territori fragili

Proprio mentre il maltempo travolge ponti e strade, una buona notizia merita di essere più enfatizzata di quanto non sia accaduto. È davvero un fatto epocale che il Mose per la prima volta nella storia abbia preservato Piazza San Marco dall’alta marea. Vero è che siamo solo agli inizi e che per inondazioni di minore consistenza ancora non si ricorrerà al sistema di protezione e che occorreranno mesi prima di avere in funzione del tutto il mastodontico apparato delle dighe mobili ai margini della laguna. Per ora, tocchiamo ferro, ma in questo disgraziato 2020 è pur sempre la seconda notizia buona, dopo l’inaugurazione lampo del nuovo Ponte di Genova, e meriterebbe di essere festeggiata con altrettanta convinzione. Quanto sia prezioso il patrimonio di Venezia per il mondo intero non c’è bisogno di spiegarlo. La straordinaria unicità di questa città gioiello emoziona chiunque sulla faccia della Terra. E neppure il Mose, del resto, ci garantisce la sicurezza nel tempo.

Nel complessivo sistema del cambiamento climatico, dell’innalzamento dei mari e della rapidità di modifiche geologiche che incombono, Venezia è ancora gravemente a rischio. È già accaduto: intere civiltà sono state spazzate via perché non protette. Ma oggi abbiamo la tecnologia e gli italiani hanno la fantasia creativa da applicare all’innovazione e allora si può fermare una deriva, si può guadagnare tempo. Essere la generazione che ha partecipato ad un evento tanto straordinario dovrebbe essere motivo di orgoglio.

A guastarlo ci può essere solo l’ideologia. Come per la ricostruzione del ponte Morandi, siamo di fronte ad una «grande opera», e questo dà fastidio, perché contraddice la narrazione contraria alla crescita, anzi favorevole alla decrescita. Per mancanza di senso della storia, rispondendo solo ad un impulso quasi psicanalitico, il ritorno al passato suscita nostalgia ed empatia. Ma vogliamo davvero dimenticare cosa era l’Italia di un secolo fa, o semplicemente l’Italia degli anni ’50, con le abitazioni senza servizi igienici elementari, con le strade senza fognature? Proprio in questi giorni corre l’anniversario della costruzione dell’Autostrada del Sole, concepita, autorizzata e realizzata in pochissimi anni da una classe dirigente che non si nascondeva dietro le lungaggini della burocrazia per giustificare una durata media di realizzazione di un’opera che oggi dura decenni. Anche il Mose, di cui tutti ricordano lungaggini e tangenti, ha mosso i primi passi più o meno negli anni in cui già si parlava di opere ben più piccole da realizzare in Val Brembana o nel sistema viario provinciale, ancor oggi però lontane dalla conclusione. Tra l’avvio dell’Autostrada del Sole, opera decisiva di unità nazionale e il Mose, una sola grande opera è stata in realtà realizzata, e cioè il sistema dell’Alta velocità ferroviaria. Per il resto, tanti sprechi, tanti dibattiti inutili, tante tangenti.

Sul Mose si è detto di tutto, si è esercitata la supponenza e l’avversione di un ambientalismo che ancora non riesce a cogliere il nesso con innovazione, ricerca, sviluppo industriale ed imprenditoriale che, soli, possono aiutare a salvare l’ecosistema, non certo il negazionismo.

E se negli stessi giorni, la Basilica di San Marco tiene all’asciutto i suoi straordinari mosaici ma torrenti delle nostre valli spazzano via la vita piccola ma vera della nostra gente, c’è qualcosa che va cambiato innanzitutto nell’atteggiamento mentale.

La prova del Mose va ancora vinta del tutto, ma occorrono mille piccoli Mose per difenderci dalla fragilità del territorio. Lo può fare solo un Paese più maturo, che non corra dietro solo alle ultime emozioni e sappia rimettere in fila le vere priorità.

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