Negare il coronavirus. Quando l’individualismo vale più della società

A Berlino il primo di agosto erano in ventimila al motto di: «Giorno della libertà, fine della pandemia». La parola d’ordine è niente mascherina, nessuna distanza. Scendono in piazza e protestano. Contro chi non si sa, perché per molti è una congiura, e chi tira le fila è il nemico ignoto dietro le quinte. Succede in Germania a fronte di quasi diecimila morti ufficialmente registrati, 224 mila casi di contagio e una crescita quotidiana che può raggiungere anche i mille casi. Il virus è una sfida alla società dell’eguaglianza di massa.

Per distinguersi dall’anonimità ci si espone al rischio convinti che i più forti vincano. Meglio del tatuaggio è questo il segno della diversità. In Croazia, a Pag, dice una giovane italiana intervistata: «Non ce ne è di Coviddi, non ce n’è più». La gioventù rende forti e in una società a competizione finalmente un terreno dove sono tutti uguali e la prestazione fisica prevale su quella intellettuale. Un modo come un altro per protestare contro l’élite che detiene il monopolio del sapere. Un sentire diffuso figlio della frustrazione dei tempi che i politici cavalcano.

Boris Johnson verrà ricordato per aver ufficialmente annunciato al suo popolo l’arrivo di migliaia di morti come un evento inevitabile soprattutto se questi sono anziani. Solo dopo aver visto la morte in faccia in un reparto di terapia intensiva ha abbassato i toni. Un’esperienza che le notizie degli ultimi giorni ci dicono riguardare anche i giovani. L’età media del contagio sta scendendo e colpisce la fascia finora meno esposta ai numeri. Non perché i più giovani siano immuni ma perché asintomatici e quindi invisibili alle statistiche. Se aumentano i contagi aumentano in proporzione anche le probabilità di aggravamenti. Anche i bambini non ne sono immuni come il caso di Padova dimostra.

La maggior parte delle nuove generazioni è sensibile al problema come la diffusione del volontariato in Italia testimonia. Chi reclama libertà di contagio in nome del divertimento sfrenato e trasgressivo è una minoranza, alla quale il Ferragosto ha dato la prima pagina dei giornali. Ma al governo italiano riesce quello che in altri Paesi fatica a passare. In Germania ancor oggi si discute se la mascherina serve oppure no. Si va a macchia di leopardo, in alcuni Länder il tema è sentito in altri no. Nei supermercati la mascherina si tiene ma si poi si va in piscina appassionatamente insieme. Nei ristoranti le distanze sono un’opzione. E poi va detto che in America vi è un negazionista al potere le cui probabilità di rielezione non sono calate nonostante i numeri catastrofici dei contagi e dei morti. Sono 40 milioni coloro che in America sono al di sotto della soglia di povertà sostenuti sinora dai sussidi. In Brasile il presidente Bolsonaro, infettato dal Covid-19 parla di muffa nei polmoni mentre i morti si sotterrano nelle fosse comuni. In Svezia non hanno primedonne al potere ma hanno fatto della pandemia una sorta di destino che occorre affrontare stoicamente sapendo che come in guerra alcuni dovranno morire.

Importante è che si salvi la società e lo Stato. In Italia siamo troppo individualisti e allergici alle regole per poter pensare che l’anonimità di un tutto debba prevalere sulla vita del singolo. Ed è per questo che, nonostante estemporanee proteste, ciò che il governo propone trova consenso. È la nostra vita in gioco e il buon senso ci dice che le misure prese vanno in questa direzione. Ciò non cancella l’analfabetismo funzionale, che dilaga nei social. Il male profondo dell’iperinformazione, un sottoprodotto della società del benessere e della trasgressione. Questa estate è stata il suo canto del cigno. Da settembre conta un modello di sviluppo che va costruito dal basso e che convogli le energie sprecate in discoteca.

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