Nessun algoritmo
può battere i medici

«Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano un secondo parere, per cortesia controllino su Yahoo.com». Un medico dell’Istituto nazionale tumori di Milano ha affisso alla parete accanto al suo studio questo sarcastico cartello, evidentemente esasperato dalle autodiagnosi che molti pazienti effettuano sui motori di ricerca e poi sottopongono allo specialista, complicandogli la vita e il lavoro. È capitato anche a me, lo ammetto, in qualità di paziente. Dopo essermi consultato con la Rete «gugolando» i sintomi, ero sicuro al cento per cento di avere un’asma allergica. Lo dissi senza esitazione al primario di pneumologia, chiedendo direttamente la terapia, senza nemmeno passare per la diagnosi. Lui mi guardò con un sorriso pietoso e sentenziò: «Lei è il classico tipo che va a cercarsi le risposte su Google, vero? Comunque secondo me è reflusso, mi basta ascoltare la sua voce da baritono e i suoi colpetti di tosse». Gli esami, quelli veri, che mi prescrisse, accertarono che era reflusso.

Da allora se ho qualcosa non cerco più la diagnosi in Internet, ma vado dal medico. Una consuetudine che non tutti seguono, come attesta anche la ricerca dell’Osservatorio welfare di Reale Mutua di cui pubblichiamo gli inquietanti risultati. Il consulto in Rete a scopo di diagnosi è una scorciatoia molto pericolosa. Perché un conto è consultare uno strumento moderno e prezioso per sapere quali e dove sono i centri specializzati più vicini e accreditati o prenotare una visita sul Pc, un altro è cercare una diagnosi, quasi sempre con la speranza che la risposta sia «non è niente». Purtroppo capita spesso anche il contrario, cioè che per l’incompetenza dei motori di ricerca, basati su algoritmi che non hanno studiato medicina, la diagnosi sia quella di avere due mesi di vita.

Ma è ancora peggio quando i vari blog medici sentenziano che siamo sani come dei pesci, perché probabilmente non è vero e c’è il rischio che la malattia progredisca mentre noi non facciamo nulla per curarci perché siamo stati rassicurati da un algoritmo. Una diagnosi medica non è come cercare la valutazione di un ristorante, trovare una via cittadina, scovare la ricetta del risotto ai mirtilli e salsiccia o arrivare a scoprire tutte le proprietà della curcuma.

Un milione di ricerche su Internet in questo campo non vale il parere di un medico, il quale ha studiato almeno per nove anni (e continua a studiare), imparando a memoria tomi spessi come mattoni e frequentato corsi di medicina per arrivare a formulare quel tipo di parere, che si basa anche su migliaia di pazienti visitati in corsia o in ambulatorio, per non parlare degli accertamenti diagnostici effettuati con macchine sofisticate. Nessun algoritmo potrà competere con la sua diagnosi. E non parliamo poi della terapia, spesso affidata in Rete a legioni di impostori, finti esperti, maghi e ciarlatani di ogni risma.

Tutto questo dipende anche dalla possibilità che ciascuno di noi ha in Rete di esprimere le proprie opinioni, anche se non hanno valenza scientifica, senza filtri o certificazioni, mettendosi di fatto sullo stesso livello di chi ha una laurea e una specializzazione in medicina. Non è un caso che la diffusione delle opinioni «no vax» sia stata favorita dalla Rete.

Una piccola postilla. Il fenomeno dell’autodiagnosi e addirittura dell’autoterapia in Rete meriterebbe un po’ di autocritica anche da parte di molti medici, che non sempre hanno tempo o sono disponibili per i loro pazienti. I quali, non potendo aspettare che il medico li riceva dieci giorni dopo, vanno a «gugolare» i loro sintomi in Rete, ammalandosi di diagnosi sbagliate o inesistenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA