Onestà e chiarezza
Un grande esempio

Dopo quei due splendidi giorni che ci regalò nell’autunno di tre anni fa (il 29 e il 30 novembre del 2016), oggi il Capo dello Stato onora nuovamente Bergamo con una visita «lampo», ma non per questo meno densa di significati. Per noi bergamaschi, ovviamente, la sua presenza è motivo di grande soddisfazione (raramente il Presidente della Repubblica torna in luoghi già visitati), ma siamo convinti che gli stessi sentimenti alberghino anche nell’animo di Sergio Mattarella, che fa ritorno in città non per incontrare la politica o le istituzioni, ma i giovani, al cui futuro tiene così tanto da porlo in sintonia con i valori fondamentali della nostra Repubblica.

Un omaggio alle nuove generazioni che nasce da un magistero inclusivo e collaborativo, riaffermato proprio martedì alla tradizionale consegna delle onorificenze ai Cavalieri del lavoro, quando il Presidente ha ribadito che un’alleanza tra le generazioni è necessaria: «Nessuna comunità può progredire se si spezza la catena della fiducia, della trasmissione dell’esperienza, della speranza di pensare e realizzare, insieme, un futuro migliore». Che tra Mattarella e i giovani esista un feeling tutto particolare non c’è alcun dubbio, e l’ennesima dimostrazione l’avremo anche nel tardo pomeriggio di oggi, nell’auditorium del Seminario vescovile, dove il Capo dello Stato ne incontrerà oltre cinquecento.

Perfettamente conscio di quanto andava già affermando Diogene trecento anni prima di Cristo - «Le fondamenta di ogni Stato sono l’istruzione dei suoi giovani» -, Mattarella non perde mai occasione per spronarli alla conoscenza, convinto che il sapere non sia soltanto l’arma migliore per capire se stessi, ma anche per aprirsi agli altri e riconoscere nuove culture, nuove esperienze, nuove opinioni, e di conseguenza per fare argine al razzismo, che, al contrario, si nutre solo di ignoranza e cupo pessimismo. La cultura apre all’amicizia e al dialogo, atteggiamenti fondamentali per alimentare e far crescere qualsiasi forma democratica di partecipazione.

Un argomento, questo, che nell’agenda «comunicativa» di Mattarella occupa sempre un posto di primissimo piano. L’inquilino del Quirinale è giustamente preoccupato per le gravi conseguenze che l’attuale stile politico del nostro Paese fa ricadere sulle giovani generazioni, che diffidano della classe politica. È più che probabile, dunque, che nel saluto ai giovani raccolti in Seminario, il Capo dello Stato rifletterà proprio sui tormenti e sulla crisi della democrazia: sulla difficoltà di formare la nuova classe dirigente, questione più che mai attuale data appunto la persistente difficoltà del Paese di promuovere la vera politica, quella tesa a perseguire il bene comune di una nazione programmando un futuro migliore per tutti, anziché - come pare avvenga oggi - lavorare per piccoli interessi di bottega e tornaconti personali che spingono gli elettori a starsene ben lontani non solo dall’impegnarsi in prima persona, ma anche dall’esercitare il proprio diritto di voto.

E allora la memoria del Presidente non potrà non andare a suo fratello Piersanti e alla sua piccola «scuola» per l’impegno sociale e politico proposta nel lontano 1977, e attraverso la quale proponeva una visione del mondo diversa, dove gli alti ideali della politica si fondevano nell’impegno concreto di costruire una società autentica, trasparente, viva, con al centro l’interesse di tutti, partendo dal rapporto fra la persona e lo Stato. «Del resto - ha annotato recentemente, ricordando quell’esperienza, don Massimo Naro, sacerdote siciliano fortemente impegnato su quel fronte - l’interrogativo che si ponevano i giovani palermitani del “Gruppo Politica” nel ’77 ha ancora la stessa risposta che registravano allora con preoccupazione: “Quando e perché occorre fare formazione all’impegno socio-politico?” si leggeva nel dépliant intitolato “Valore e significato reale del fare politica”. E la risposta, che seguiva a tono, tratteggiava la crisi che già montava tutt’attorno a quei giovani di qualità, con sintomi che oggi si sono soltanto cronicizzati: “L’esasperazione del professionismo in politica” e “la tendenza a fare casta a sé”, oltre a “mestierantismo, clientelismo, partigianeria, malcostume e corruzione”, tutti fattori che inducono alla “disistima per chi fa politica”, facendo pericolosamente spazio alla demagogia e al populismo».

Demagogia e populismo che oggi hanno proprio Sergio Mattarella tra i più fieri oppositori, con il suo patrimonio di coerenza e vigore ideale. Verso questi atteggiamenti, il Capo dello Stato nutre un’avversione profonda e sincera, rimarcata con pacatezza e sempre con spirito costruttivo, mai divisivo, anche quando il livello dello scontro politico all’interno del Paese non è dei più semplici. C’è, in questo corredo intellettuale e di passione civile, il giurista e il cattolico che vede nei valori della Costituzione il fondamento della cittadinanza, la «casa comune». Un esempio per tutti, le sue continue e puntuali prese di posizione in favore dell’Europa: «Credere di farcela da soli è pura illusione o, peggio, inganno consapevole delle opinioni pubbliche. Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente. È da qui che occorre partire per avviare una riscoperta dell’Europa come di un grande disegno, sottraendoci all’egemonia di particolarismi senza futuro e di una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione».

Parole chiarissime, pronunciate con grande onestà intellettuale: sentimenti nei quali si riconoscono tantissimi italiani, compresi quei giovani che vivono la loro comunità nel segno della solidarietà e che proprio per questo considerano Mattarella un esempio credibile. Le nuove generazioni hanno, però, bisogno di un ambiente più favorevole, anzi più amichevole: «Nessuna società può ben preparare il proprio domani se i giovani incontrano ostacoli nel loro percorso di crescita, o se la struttura sociale li emargina, non crea opportunità e occasioni di assunzione di responsabilità, mettendoli, talvolta, di fronte a scelte di migrazione forzata per assicurarsi un futuro» ha detto solo 48 ore fa al Quirinale, rivolgendosi ai 25 migliori studenti italiani, spegnendo così sul nascere le «artificiose contrapposizioni giovani-anziani», di cui abbiamo fatto cenno all’inizio. Come il filosofo francese del ’700 Joseph Joubert, Mattarella sa bene che «i giovani hanno più bisogno di esempi che di critiche», e si comporta di conseguenza. Anche per questo, ancora una volta, merita il nostro grazie.

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