Per lo sci la sfida di un futuro sostenibile

ITALIA. La notizia della proposta di acquisto da parte di Infinite Mountain degli impianti di Lizzola ha suscitato subito, come prevedibile, un coro di tifoserie opposte.

Perché parlare di sci nelle Orobie, come del resto in tutto l’arco alpino, riattiva battaglie ideologiche mai sopite tra apocalittici e integrati. E oggi più che mai, visti i nostri trascorsi fatti anche, purtroppo, di macerie ingombranti. Dove più che il procedere implacabile del cambiamento climatico, ahimè, ha giocato un ruolo attivo soprattutto l’errore umano, inteso come mancanza di lungimiranza o di immaginazione. O peggio, è successo anche questo, avidità o alto tasso di litigiosità.

Venendo alla cronaca di oggi: lo scenario che si profila tra Val di Scalve e Alta Valle Seriana sembra qualcosa di nuovo rispetto al copione al quale siamo stati abituati negli ultimi anni. Il «sogno» del collegamento con Lizzola non è mai stato un mistero: l’idea di raddoppiare il comprensorio unendolo alle piste oltre il pizzo di Petto è stato fin dall’inizio un’opzione del piano di sviluppo, partito dall’ammodernamento degli impianti di Colere e attualmente concentrato sul rinnovo di alberghi e ristoranti in quota. Ma già si guarda a nord… Con le piste di Lizzola il comprensorio diventerebbe evidentemente molto più competitivo. E non c’è dubbio che si tratti di una scommessa interessante, partita da un’intuizione felice: ampio demanio sciabile, quota elevata (sopra i 1.800 metri), paesaggio dolomitico, almeno tre stazioni di partenza da centri abitati (Colere, Teveno, Lizzola). Per farla breve, il progetto ha le gambe per camminare e per portare lavoro e sviluppo in due territori che ne hanno bisogno come il pane. E le premesse, ovvero ciò che è stato fatto fino ad ora, fanno ben sperare.

Ma per essere obiettivi fino in fondo, e qui la posta in gioco lo richiede, non si può non guardare al rovescio della medaglia e tenere aperta la porta a chi, di un super comprensorio, proprio non vuole sentirne parlare. Perché andrebbe a sconvolgere un paesaggio integro, perché richiederebbe di investire tantissimo anche in termini di risorse naturali, come l’acqua per esempio, indispensabile per l’innevamento artificiale, e anche perché parlare di sci di massa oggi appare anacronistico in un mercato che molti osservatori considerano ormai saturo.

Marco Albino Ferrari, nel suo libro «Assalto alle Alpi» dedicato proprio allo sfruttamento dell’ambiente alpino al servizio dello sviluppo vertiginoso dello sci alpino negli ultimi anni (e alle vestigia di gloriosi comprensori sparsi per tutto l’arco alpino di cui oggi rimangono condomini abbandonati e ormai cadenti e pali arruginiti, scenari che conosciamo bene anche dalle nostre parti, purtroppo) ci ha regalato questa immagine che fa riflettere: «Abitare una vallata alpina significa fare i conti con un territorio che è limitato per definizione, che può offrire solo una quantità di risorse limitata. Le comunità alpine storiche hanno dovuto fare i conti con questa finitezza dei luoghi». Un tempo nelle nostre vallate la risposta era l’emigrazione.

Nessuno ha intenzione di riproporre quel modello di vita, anzi, la speranza è proprio quella di invertire la tendenza allo spopolamento che sembra irreversibile e che è il problema numero uno delle nostre terre alte. Trovare un giusto equilibrio tra la finitezza della risorsa montagna e l’infinitezza («Infinite mountain») del sogno che sta immaginando il suo rilancio, è la sfida che attende il territorio. A partire dalla ricerca di sostenibilità del progetto, senza integralismi, ma non unicamente nel breve periodo. Perché oggi non possiamo più permetterci le ingenuità che hanno contribuito a devastare alcune località delle nostre valli fino a trenta-quarant’anni fa.

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