Ponte di Genova
Quante omissioni

Nelle laceranti code di pensiero legate alla tragedia del ponte Morandi, stupisce e, soprattutto, inquieta avere appreso come molte sue criticità strutturali fossero state da tempo accertate. Alcune strutture del ponte avevano già evidenziato pericolose alterazioni note alla società Autostrade e ai tecnici del ministero dei Trasporti. Eppure, nessuno ha incredibilmente deciso di chiudere il ponte. Tra gli aspetti investigativi più delicati che dovranno essere approfonditi dalla magistratura, che ha iscritto nel registro degli indagati 21 persone, una prima domanda cui dovrà essere data risposta è perché non ci siano state denunce in merito alle criticità individuate nel tempo.

C’è chi sostiene che la causa principale sia da attribuire all’assenza di norme a tutela della privacy del denunciante. Non è proprio così. L’Italia si è allineata, in qualche misura, alla legislazione degli Usa, ove è in vigore il «Whistleblowing», un sistema di norme finalizzato a disciplinare la riservatezza e la condotta di chi denuncia all’autorità competente una violazione commessa dall’ente cui appartiene.

Nel nostro Paese le prime norme a tutela del denunziante sono state introdotte con il «decreto antiriciclaggio» (231/2007). Sono seguite altre disposizioni tra cui la legge 179/2017 che ha dato la possibilità all’Agenzia nazionale anticorruzione (Anac), in relazione a «Responsabilità amministrativa da reato degli enti», di predisporre un sistema ad hoc per la segnalazione di condotte illecite, con misure atte a tutelare il segnalante da atti di ritorsione come il licenziamento. La nostra Corte di Cassazione, però, con la prima sentenza successiva all’entrata in vigore della legge 179, ha stabilito che la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante non può essere assoluta. Può cadere, infatti, qualora la conoscenza dell’identità del segnalante sia assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato. È evidente, quindi, che l’esigenza di garantire il segnalante, a differenza di quanto accade negli Usa, trovi ancora grandi ostacoli nel nostro sistema giurisdizionale. È auspicabile che questa circostanza venga presa in considerazione in sede di esame parlamentare della nuova legge anticorruzione, approvata dal Consiglio dei ministri il 3 settembre scorso.

Una seconda domanda che dovranno porsi gli inquirenti (mentre gli sfollati di Genova ieri sono scesi in piazza per protestare) riguarda il perché i controlli da parte del ministero competente non siano stati approfonditi al punto tale da sollecitare adeguati interventi di manutenzione della struttura. Peraltro, se si scorrono le tante tragiche esperienze vissute nel nostro Paese, ci si accorge come i controlli dello Stato siano quasi sempre intervenuti per accertare i danni, piuttosto che per prevenirli. Ciò non avviene nel settore privato, in particolare nell’ambito delle aziende quotate che devono sottostare a precise disposizioni per l’attivazione di sistemi di controllo in grado di prevenire rischi interni ed esterni. Anche nell’ambito della Pubblica amministrazione, dal 1993 al 2009 sono state emanate una serie di norme che avrebbero dovuto portare i sistemi di controllo interno ed esterno allo stesso livello di efficienza del settore privato. Ciò non è avvenuto. Lo testimoniano i crolli di ponti su strade di grande transito come quello di Genova, i ripetuti disastri ambientali provocati da sismi, frane e dissesti idrogeologici, che interessano ricorrentemente territori ben noti per la loro fragilità e il loro livello di rischio. In presenza di questa situazione, emerge una pretesa civica collettiva. Che il processo sulla terribile vicenda del ponte Morandi, oltre a punire i responsabili di criminali omissioni, determini per l’Amministrazione statale un inderogabile salto di qualità e di civiltà riguardo ai propri compiti e alle proprie responsabilità in tema di controlli delle infrastrutture e dello stato dell’intero territorio nazionale.

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