Posti letto e personale
Perché abbiamo perso tempo

Dovevano essere 3.443 i nuovi posti letto di terapia intensiva e sono 1.300. Il ministro Boccia denuncia la non attivazione di 1.600 ventilatori polmonari. Dovevano essere assunti 81 mila tra medici, infermieri e operatori sanitari, ma al 9 ottobre ne risultano 33.857. A Roma, ai «drive in», i bambini passano la notte in macchina per poter fare il tampone e quindi poter ritornare a scuola. La domanda che viene spontanea: ma perché questa Caporetto, quando tutti sapevano che la seconda ondata sarebbe arrivata? I ricoveri aumentano del 7-8% al giorno ma lo fanno in modo esponenziale per cui di questo passo la saturazione è prossima.
L’Italia è stato il primo Paese in Occidente a vivere il dramma di dover selezionare negli ospedali fra chi ha qualche speranza di potercela fare e chi si pensa non ne abbia. E non per scelta arbitraria, ma semplicemente perché il sistema era collassato e non c’era più posto.

Continuiamo ad onorare i nostri morti ma sembra che dalla tragedia che hanno vissuto non traiamo insegnamento.

L’Italia con il suo lockdown primaverile aveva guadagnato tempo rispetto all’Europa. I contagiati qui da noi da agosto erano arrivati a 159 al giorno. E la Francia sino a poche settimane fa appariva ai nostri occhi di sopravvissuti resi savi dall’esperienza un luogo lunare dove il buon senso non si era fatto strada. La mascherina al di là delle Alpi era di fatto considerata solo un rimedio per deboli di cuore. E quindi gli italiani che temono la malattia - e sono la stragrande maggioranza - si aspettavano un ritorno della nuova ondata pandemica all’insegna dell’avvedutezza, come si addice a chi si è scottato la prima volta ma la seconda, la vuole evitare.

A Milano, in piena emergenza, si è costruito un ospedale alla Fiera a tempi di record. Adesso verrebbe comodo, ma per riattivarlo occorrono medici e infermieri specializzati, perché le terapie intensive non sono posti per dilettanti. Alla domanda se questo personale così prezioso in momenti come questo sia a disposizione, le autorità sanitarie lombarde hanno dato nei giorni scorsi una risposta illuminante: «È un problema ancora aperto, ma se sarà necessario li troveremo». E stiamo parlando di persone dalla cui preparazione ed esperienza dipende la vita del paziente. Intubare non è come imbottigliare per travasare il vino, dalla perizia dell’operatore dipende la buona riuscita di un processo che può portare alla vita o alla morte. Quando a febbraio-marzo la Sassonia offrì la disponibilità ad accogliere nei suoi ospedali i pazienti che non trovavano posto a Bergamo, il presidente del Land Michael Kretschmer motivò la sua decisione in modo forse cinico ma veritiero: perché dobbiamo imparare a curare i pazienti Covid-19. Ci vuole esperienza, preparazione, cura al dettaglio: in breve, professionalità. E per averla occorre tempo e operare sul campo. L’improvvisazione con il Covid-19 non funziona. Il direttore della Stampa, Massimo Giannini, 58 anni, è ricoverato in terapia intensiva e a chi gli esprime solidarietà risponde, grazie ma gradirei solo serietà.

Perché programmare è da sempre un problema in Italia. Tracciare e portare i tamponi a quota 300 mila come in Germania era nei mesi scorsi il vero lavoro necessario da fare.

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