Quei verbali, la sconfitta
del senno del poi

I 95 verbali delle riunioni del Cts, il Comitato tecnico scientifico del Governo nato per fronteggiare l’emergenza Covid, finalmente desecretati e resi pubblici sul sito della Protezione civile, ci svelano quanto sia difficile muoversi di fronte all’imponderabile. Nei documenti, che rievocano quelle riunioni frenetiche prese nel mezzo dell’emergenza coronavirus, s’apre uno squarcio su quanto accaduto nei primi sei mesi della pandemia nella «cabina di regia». Una delle frasi dei documenti forse riassume quei giorni terribili, convulsi e per certi aspetti disperati, quando le terapie intensive scoppiavano: «Emerge la necessità di verificare con precisione i dati relativi alla disponibilità locale di posti letto per malattie infettive, rianimazione e altri dati relativi ad attrezzature, staff e quanto necessario ad elaborare ipotesi di scenari di evoluzione dell’epidemia».

C’è anche il noto verbale del 3 marzo, già pubblicato da questo giornale il 7 agosto, relativo alla creazione o no della zona rossa di Alzano e Nembro, che tanto ha fatto discutere, ed è oggetto di un’inchiesta della magistratura. Dopo aver esaminato i dati relativi al numero dei casi, i membri del Cts avrebbero consigliato l’istituzione della «zona rossa» in Val Seriana, nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro in particolare. La Regione, in particolare l’assessore alla Sanità Gallera, contattato telefonicamente, aveva confermato i dati. «Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa anche in questi due comuni – prosegue il testo -, al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue». Quello che è accaduto dopo, con il Governo che decide di non estendere i provvedimenti che già aveva applicato al Lodigiano alla Val Seriana, per poi trasformare il 7 marzo successivo, la Lombardia in zona rossa, è noto.

Ma i giorni cruciali per la vita di migliaia di persone sono quelli precedenti, a partire da metà di febbraio e in particolare dal 23, con l’ospedale di Alzano che va sotto pressione. Ed è in quel periodo che la confusione sotto il cielo è enorme poiché in quei giorni il Covid è un nemico invisibile, subdolo, che non permette di farsi un’idea, un quadro della situazione. I dati arrivano in maniera non omogenea.

Nel frattempo il tempo passa e il Covid si trasmette nel formicolio di uomini e donne che entrano ed escono da quelle comunità. Non soltanto qui sui territori, ma anche nelle sale riunioni dei superesperti non si ha una dimensione precisa dell’entità del fenomeno. Mentre medici e infermieri procedono come ciechi in battaglia, i generali non individuano il campo di battaglia, nella cumulo di dati che affluiscono alla Protezione civile. Una vicenda umana, in cui, a leggere i verbali, non ci sono reati di omissione o decisioni prese in malafede. Tutti si dannano per capire e combattere il male oscuro. Ma il male oscuro si nasconde tra gli uomini, appare e riappare.

Che fosse una situazione con grandi cambiamenti repentini lo si evince leggendo il verbale del 26 febbraio quando invece il Cts non riteneva ci fossero le condizioni per l’estensione delle restrizioni a nuove aree oltre ai 10 Comuni indicati come zona rossa dal Dpcm del 23 febbraio (il Lodigiano per semplificare). Cinque giorni prima lo stesso Cts parlando del caso Lombardia parlava di focolaio contenuto: «Si prende atto della segnalazione proveniente dalla Regione Lombardia di casi sporadici in via di conferma». È un passaggio del verbale del Comitato tecnico scientifico del 21 febbraio. Certo tutto questo non ci consola, né lenisce il dolore per le migliaia di morti che abbiamo pianto. Ma almeno ci tiene lontani da facili giudizi emessi con il senno del poi.

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