Regole del gioco
e crisi fantasma

L’attuale governo è cominciato male e sta finendo peggio. L’esecutivo presieduto (ma non guidato) da Giuseppe Conte era montato in sella in base a un «contratto» (fattispecie giuridica di diritto privato, ignota, finora, alla prassi costituzionalistica italiana) grazie anche alla prudente e paziente azione di mediazione e di valutazione del presidente della Repubblica con l’obiettivo di mandare in soffitta le vecchie modalità di governare.

Il cambiamento, parola d’ordine ossessivamente ripetuta in ogni circuito mediatico e a ogni passaggio istituzionale, doveva essere non soltanto il frutto di scelte di governo del tutto dissimili da quelle fino ad allora praticate, ma soprattutto una modalità radicalmente diversa rispetto al passato. Un cambio culturale prima ancora che nei risultati.

Nei 14 mesi di vita dell’esecutivo – prima incarnato nei due vice presidenti del Consiglio, progressivamente soltanto in uno di essi – è divenuto mano a mano sempre più chiaro che poco o nulla di buono sarebbe potuto venir fuori da una coalizione di maggioranza tenuta insieme da una sommatoria di priorità, le quali rispecchiavano le vocazioni dei due partner di governo senza fondersi mai in un progetto politico unitario. Una maggioranza divisa praticamente su tutto, salvo la ricerca del consenso a tutti i costi.

Nel progressivo emergere delle differenze enormi tra gli alleati è palesemente emerso che soltanto una delle due forze politiche avrebbe prevalso. Da un lato vi era, infatti, un Movimento che basava il suo consenso sulla perenne rivendicazione dell’alterità e dell’estraneità alla «vecchia» politica; dall’altro, un partito che della vecchia politica era intriso e che nella vecchia politica aveva prosperato.

Il capovolgimento di consensi tra Lega e Movimento Cinque Stelle era scritto dall’origine: troppo inconcludenti le velleità di questi ultimi rispetto al ruvido pragmatismo della Lega. In più, nelle dinamiche decisionali, la sprovvedutezza dei Cinque Stelle ha concesso spazi enormi all’astuzia dei mestieranti della Lega.

In questo contesto magmatico - e di fronte alla prospettiva di dover affrontare in autunno la difficilissima partita della legge di bilancio – Salvini ha giocato d’azzardo: chiedere le dimissioni di Conte e appellarsi al «popolo sovrano» è stato il modo per uscire dallo stato di impasse dell’azione di governo, paralizzato dal quotidiano muro contro muro con l’altro firmatario del «contratto» di governo. Il calcolo sembra essersi dimostrato poco accorto e gli ultimi contorcimenti tattici di Salvini sono la dimostrazione che talvolta l’arroganza in politica (vedi per analogo la parabola di Renzi) finisce per ritorcersi contro chi la usa come arma. Evidentemente, il leader della Lega sperava di poter effettivamente indurre Conte a dimettersi e di ottenere, di conseguenza, di andare al voto subito per sfruttare al meglio il vistoso aumento di consensi registrato alle elezioni europee. Ma la mossa non ha avuto gli effetti sperati, perché ha offerto l’occasione al capo politico dei Cinque Stelle, e soprattutto al fondatore del Movimento, Beppe Grillo, di evocare una «santa alleanza» per isolare i barbari. Operazione che ha trovato sponda nelle esternazioni di Matteo Renzi che ha, inopinatamente, proposto un governo nel quale potessero convivere Pd e Cinque Stelle. Il quadro è tanto aggrovigliato da costringere anche un leader pacato come Zingaretti a dichiararsi possibilista su tutti i fronti.

Ma restano, sempre più inquietanti, le ombre sulla vicenda che – al momento – sembra una gara tra illusionisti. La crisi è, a sua volta, una sorta di fantasma: non si sa se e quando il premier andrà alle Camere per chiedere la fiducia (oppure per dimettersi), le possibili soluzioni sono di là da venire perché il regista e l’arbitro della complessa vicenda non può intervenire finché la crisi di governo non sia formalizzata. Per nostra fortuna, si può essere certi che il capo dello Stato saprà trarre le debite conseguenze dalle scelte dei partiti e del Governo e, soprattutto, guiderà con mano felpata ma ferma le forze politiche verso scelte che tutelino gli interessi generali del Paese. Nei prossimi giorni è assai probabile che dal Quirinale arriverà un richiamo al rispetto delle regole, affinché coloro che sembrano aver perso la testa evitino di passare il segno.

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