Rigenerare il possibile, una risposta concreta

ITALIA. Quando si parla di «rigenerazione», si pensa spesso a grandi progetti urbani, a piani di riqualificazione edilizia, a operazioni di «ricucitura» delle periferie delle grandi città.

Ma in molti luoghi d’Italia - lontani dai centri metropolitani e dai riflettori - la rigenerazione ha un volto diverso: più silenzioso, più ostinato, più autentico. È fatta di piccoli atti quotidiani, di tenuta e rilancio civile, che partono dal basso e cercano di dare continuità alla vita dei territori. In questi contesti - borghi di montagna, valli interne, piccoli comuni - la rigenerazione non è uno slogan, né un titolo di convegno. È una risposta concreta, spesso urgente, ai cambiamenti demografici, sociali e produttivi che colpiscono prima e più duramente che altrove. E deve interrogare anche il centro: perché le periferie, le aree interne, sono parte integrante del sistema Paese. E viceversa. Solo uno sguardo che tenga insieme può produrre vera rigenerazione. Ed è proprio lì che stanno emergendo pratiche nuove. Non sempre perfette, non sempre strutturate, ma autentiche. Comunità che scelgono di non restare immobili. Amministratori, associazioni, reti civiche che non si limitano a «gestire ciò che resta» ma ripensano servizi, relazioni, spazi di vita. Lo fanno con mezzi ridotti, ma con visione e tenacia. E questo conta.

Amministratori, associazioni, reti civiche che non si limitano a «gestire ciò che resta» ma ripensano servizi, relazioni, spazi di vita. Lo fanno con mezzi ridotti, ma con visione e tenacia. E questo conta.

In questo, la sanità territoriale rappresenta forse il banco di prova più concreto della capacità di rigenerazione pubblica. Un modello già attivo in molte aree della Lombardia - e che merita di essere esteso e rafforzato - è quello delle Case di Comunità e degli ospedali di Comunità: presìdi territoriali che integrano medici, infermieri, assistenti sociali e operatori sociosanitari, offrendo risposte coordinate ai bisogni cronici, alle fragilità e all’invecchiamento. Accanto a queste strutture, anche le Centrali operative territoriali svolgono un ruolo sempre più rilevante nel coordinare gli interventi, facilitare l’accesso, costruire continuità assistenziale. A supporto di queste strutture fisiche e organizzative, la telemedicina può altresì rappresentare un supporto fondamentale, soprattutto nei territori più decentrati. Permette infatti di garantire accesso alle cure specialistiche senza spostamenti onerosi. Ma accanto alla cura, va rafforzato anche l’impegno nella prevenzione: promuovere salute significa intercettare il disagio prima che diventi malattia, attivare comunità prima che si disgreghino.

Ma accanto alla cura, va rafforzato anche l’impegno nella prevenzione: promuovere salute significa intercettare il disagio prima che diventi malattia, attivare comunità prima che si disgreghino.

Non si tratta quindi solo di portare i servizi più vicino alle persone, ma di costruire reti di prossimità che siano stabili, integrate, capaci di generare fiducia. È anche così che la sanità territoriale può diventare il volto concreto di una rigenerazione pubblica che parte dai margini, ma riguarda tutti. Anche la ricerca sanitaria, in Lombardia, contribuisce in modo originale a questa visione rigenerativa. Gli Ircss non sono solo centri di eccellenza clinica: in molti casi sperimentano soluzioni innovative che riguardano non solo la cura, ma la rigenerazione stessa dei tessuti, in senso biologico e simbolico. Un’altra forma - concreta - di presidio pubblico orientato al futuro. Non solo quindi un ambito da difendere, ma uno spazio da ripensare in profondità, per renderlo davvero vicino ai bisogni delle persone e coerente con le profonde trasformazioni sociali in corso. Se rigenerare significa costruire prossimità, presidio, continuità nella vita quotidiana, allora è proprio qui che occorre avere il coraggio di sperimentare, con umiltà ma anche con visione. Non si tratta di moltiplicare modelli o dichiarazioni d’intenti, ma di costruire alleanze locali, integrare funzioni, valorizzare chi nei territori opera ogni giorno a contatto diretto con le fragilità, quelle visibili, ma anche quelle inespresse: quelle che non si vedono, ma esistono. E che, soprattutto nelle aree interne, rischiano di rimanere escluse da ogni forma di attenzione pubblica. Una sanità che si rigenera non è solo più efficiente: è più giusta, più umana, più capace di generare fiducia. E può diventare - se accompagnata con attenzione - un esempio di come lo Stato possa ritrovare presenza, senso, concretezza a partire proprio dai margini.

Rigenerare, dunque, non è solo riqualificare. È ripensare il funzionamento stesso di un territorio, nella logica della prossimità e dell’equità. Significa valorizzare ciò che c’è, ma anche riconoscere con onestà ciò che manca

Rigenerare, dunque, non è solo riqualificare. È ripensare il funzionamento stesso di un territorio, nella logica della prossimità e dell’equità. Significa valorizzare ciò che c’è, ma anche riconoscere con onestà ciò che manca. E costruire risposte che siano insieme sostenibili e dignitose. Non stupisce che proprio dove le risorse scarseggiano, nascano - quasi per necessità - pratiche intelligenti e coraggiose. Non per ideologia, ma perché serve. Perché vivere bene in un piccolo centro non deve diventare un privilegio né una rinuncia. L’Italia non può permettersi di ignorare queste esperienze. Sono cantieri civici aperti, in cui si cercano risposte nuove a problemi che ci riguardano tutti: l’accesso ai servizi, la qualità della vita, l’invecchiamento attivo, la coesione. Non vanno raccontati con retorica, ma accompagnati con politiche pazienti, mirate, generative. Perché quando una comunità si prende cura di sé, non sta solo resistendo: sta indicando una direzione.

Ecco perché «rigenerare il possibile» non significa inseguire modelli astratti o importare soluzioni dall’alto. Significa prendere sul serio quello che accade nei territori, sostenere chi sperimenta, dare voce a chi fatica, dare spazio a chi costruisce. Significa anche ripensare i criteri con cui si valutano le priorità pubbliche: non sempre dove ci sono numeri più grandi ci sono bisogni più urgenti. Nel tempo della scarsità - di risorse, di personale, di tempo - rigenerare vuol dire rimettere in circolo fiducia operativa. Fiducia che le cose si possano fare meglio, anche a partire da contesti minimi. È una scommessa di realtà, non un atto di ottimismo. Ed è proprio nei luoghi apparentemente marginali che può prendere forma una nuova grammatica civile: fatta di gesti piccoli ma radicali, di scelte quotidiane, di attenzione concreta alle persone. Una rigenerazione che non ha pretese salvifiche, ma che, proprio per questo, può durare. Perché nasce dove serve. E tiene insieme - con fatica, certo - ciò che ancora vale la pena di tenere insieme: le relazioni, la dignità, la cura.

Rigenerare, davvero, è questo: prendersi cura del funzionamento profondo di un territorio, delle sue relazioni, dei suoi legami, della sua capacità di garantire dignità quotidiana. È un’opera lenta, spesso invisibile, ma decisiva.

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