Russia al collasso
ma mostra i muscoli

Tripoli dice sì alla tregua proposta da Putin ed Erdogan, nonostante l’altolà del generale Haftar. I due nuovi attori sulla scena mediorientale trovano quindi legittimazione come mediatori di un conflitto che l’Unione europea e l’Italia soprattutto non sono stati in grado di gestire. Il protagonismo internazionale di Russia e Turchia riporta indietro le lancette dell’orologio e si riallaccia a storie passate e a nostalgie di vecchi imperi decaduti. Colpisce come Putin riesca a imporsi sulla scena globale avendo alle spalle uno Stato al limite del collasso.

Il prodotto interno lordo nel 2018 di quella che fu una grande potenza sotto le insegne della falce e martello è di circa 1.700 miliardi di dollari, l’Italia ne vanta circa 2.200. E stiamo parlando di una nazione di 60 milioni di persone con un’estensione di poco più di 300.000 chilometri quadrati a confronto con lo Stato più grande del mondo e una popolazione di 192 milioni di individui. La Russia a guida Putin suscita le inquietudini dell’Occidente eppure gli americani producono ricchezza per 20 mila miliardi di dollari. La Russia capovolge la definizione che sinora si è data della Germania: gigante economico e nano politico.

Per i russi vale il contrario un popolo quasi alla fame sovrastato da un manipolo di arricchiti con una presa politica nel mondo che l’economia non riesce a giustificare. L’equazione ricchezza-potenza non è automatica se non vi sono valori che la sorreggono. Per i russi la molla è l’orgoglio della propria identità e della propria storia. Pensano di aver qualcosa da dire al mondo e credono che non debba essere economico. Vladimir Putin sa che la rinuncia a un benessere diffuso per il suo popolo non è così gravoso da sopportare quando si unisce al ricordo nostalgico di un passato di grande potenza. Dal 2012 a oggi il pil è calato del 23 % e il rublo, la moneta russa, è stata svalutata del 60% sull’euro. Ma in politica estera valgono ancora i cannoni. E la Russia ne ha tanti in versione missili, carri armati, aerei e navi e bombe atomiche.

La vera industria del Paese è quella degli armamenti. Kalaschnikov, AK-47, il fucile d’assalto più diffuso al mondo ne è il simbolo. L’altro asso nella manica sono i grandi giacimenti di gas e di petrolio. Con Erdogan è stato inaugurato in questi giorni il turk-stream ovvero il passaggio del gas attraverso il territorio turco con destinazione Europa. Suscitare timore e al contempo con le fonti di energia condizionare il vecchio continente, questa la dottrina di Putin. L’Europa è vecchia nella sua popolazione e appagata nei suoi bisogni. Il benessere gratifica ma rende anche satolli e quindi lenti nel percepire gli avvenimenti. La latitanza sul fronte libico e mediorientale si spiega così, un affare di altri, dell’America ieri, e ora di chi intende prenderne il posto. Angela Merkel ha marcato i nuovi equilibri.

All’indomani dell’uccisione del generale iraniano Soleimani da parte di un drone americano ha preso l’aereo e si è recata subito a Mosca. Questo spiega anche l’arroganza di Recep Tayyip Erdogan. Un autocrate che urla, minaccia e tiene il cancelliere Merkel al guinzaglio con i migliaia di immigrati trattenuti in territorio turco. A un suo cenno si riverserebbero in massa in Grecia e da lì fatalmente in Germania. Con 3 milioni e mezzo di disoccupati e un pil di circa 800 miliardi di dollari la Turchia non è certo una grande potenza ma ha un esercito forte e preparato. Il ricordo dell’Impero ottomano ne guida le mosse. Così a un’Italia declinante subentra in Libia la potenza sconfitta dagli italiani nel 1911. Per Erdogan un punto di orgoglio. In politica estera conta la forza di persuasione ma anche quella di dissuasione, altrimenti sono chiacchiere. L’Europa sembra averlo dimenticato.

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