Sanità, Mes necessario
ma serve un progetto

Sono adeguati alla gravità dell’emergenza i 4 miliardi, quasi tutti di spesa corrente, che il Governo metterà sulla Sanità nella legge di Bilancio? Rispetto all’immensità dei problemi, sembra uno stanziamento da ordinaria amministrazione. E quindi risalta ancor più la differenza con la cifra 10 volte superiore del prestito Mes che ancora domenica sera Giuseppe Conte ha messo in un angolo. Ma c’è qualcosa di ancor più grave del no ideologico al prestito, sostenuto da un populismo in declino. È la mancanza di qualsiasi piano per come spendere quei soldi il giorno in cui - come tutti prevedono - il pregiudizio sarà piegato dalla forza dei fatti. È già successo con Tav, Tap (a proposito: il cantiere è finito e gli ulivi sono tornati al loro posto), Ilva, Atlantia, ma qui è in gioco la vita delle persone.

C’è il problema politico, perché contro il Mes sono schierati il principale partito di Governo e il principale di opposizione, ma riconoscere la gravità della pandemia 1 e 2 e poi non far nulla è una responsabilità pesante, che interpella nei due schieramenti innanzitutto la passività di Pd e Forza Italia. Stiamo parlando di rifiutare 36 miliardi circa, che con i bilanci ordinari non si potrebbe mai mettere insieme. Un nuovo debito, certo, ma con un costo irrisorio, 0,08% a 10 anni, e addirittura con un guadagno dello 0,07% se riusciamo a ripagarlo in sette anni: 5/6 miliardi di interessi risparmiati rispetto al normale autofinanziamento autarchico, pardon sovranista. Con la pandemia in ripresa esponenziale, ci sarebbe per 5 Stelle e Lega una scusa buona per arrendersi all’emergenza, e non buttar via altro tempo prezioso (i soldi erano disponibili già quasi sei mesi fa, a tassi ancor più convenienti).

L’altra questione è che un progetto sulla nuova sanità è assolutamente urgente, ma nessuno se ne occupa. Senza questo, anche i miliardi del Mes non servono, anzi sono a rischio spreco. Eppure, c’è molto da fare per ripensare il sistema, mantenendo le luci che pur ci sono e illuminando le ombre emerse con la pandemia: modelli regionali che non hanno funzionato, sanità territoriale debole, mancanza del personale idoneo. Frammenti sparsi di una analisi, non ancora una seria valutazione di uno stress test che ha segnalato un fallimento. Progettare un nuovo Sistema sanitario nazionale alla luce della terribile esperienza fatta e in corso, dall’iniziale agghiacciante roulette delle terapie intensive fino alle code interminabili per un tampone delle ultime settimane, è certo impresa titanica. Ma nessuno ci pensa. Comunque, avere i soldi del Mes è importante, ma non è tutto, perché già prima c’era molto da rifare, in un sistema regionale che nel 2011 era fuori budget di quasi 30 miliardi, provocando il commissariamento di 10 Regioni su 20. Nella fase successiva, il deficit sanitario è stato rimesso sotto controllo (da -3,9 miliardi nel 2009 a -57 milioni nel 2019) con raffreddamento della spesa, aumento degli stanziamenti regionali e inasprimento delle relative imposte. Si sono fatte promesse non mantenute (sono i 37 miliardi in più non spesi, che qualcuno definisce tagli), si sono lasciati a casa 45 mila operatori sanitari, soprattutto infermieri, ma si sono fatti anche interventi buoni, che hanno reso disponibili miliardi sommersi. È stato utile applicare standard organizzativi (-15/20 miliardi in 10 anni) e aver ridotto le aziende sanitarie (-66), ma ancor di più hanno contato efficienze come il passaggio ai farmaci generici (-5 miliardi) o la distribuzione diretta delle medicine (-1 miliardo). Per non parlare della centralizzazione regionale degli acquisti che in 3 anni, secondo la Bocconi, ha prodotto un ribasso medio del 24,6% (da -3,6 a - 6 miliardi).

In definitiva, servono soldi (tanti) e idee (buone). Ma impressiona il fatto che le Regioni hanno speso in questi mesi solo 700 milioni dei 3,4 miliardi messi a disposizione dalla finanza di emergenza. Ecco perché anche avere i soldi del Mes è urgente ma non sufficiente. Le riforme serie sono sempre un mix di spesa, di tagli, di efficientamento e distinzione tra investimenti e spese correnti. Questo mix è il compito della politica. È in grado «questa» politica di riuscirci?

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