Se Bergamo tornerà
a volare sarà con Orio

I secondi cinquant’anni dell’aeroporto di Orio al Serio sono cominciati. Il primo mezzo secolo è ormai alle spalle perché in Sacbo si è sempre guardato in due direzioni: in alto e in avanti. Lo si è fatto già nel 1970, quando le realtà più rappresentative del territorio hanno deciso di scommettere su un aeroporto nella Bergamasca, frutto della sua posizione geografica e del suo tessuto economico-produttivo. Ragioni che, come osservava l’attuale presidente Giovanni Sanga, sono ancora valide e assolutamente attuali. Siamo al centro di un complesso e vorticoso sistema di relazioni industriali, commerciali e sociali. Ma c’è anche arte, enogastronomia, cultura, l’università con i suoi studenti che arrivano da mezza Europa: perché qui c’è Orio e in due ore di volo (con un solo volo) si raggiunge l’85% del Pil europeo.

Per questo la ripartenza della nostra terra, della nostra economia, flagellata del Covid-19 passa anche da Orio: perché tra diretti, indiretti e catalitici (quelli che operano nell’area d’influenza) l’aeroporto dà lavoro a 60mila persone e tante, tantissime, famiglie. È una porta aperta verso il mondo: lo era prima dell’emergenza sanitaria e sta tornando ad esserlo, come dimostrano i primi dati sulla ripresa dei voli.

Certo, le incognite non mancano, anzi sono preponderanti: difficile capire l’attuale propensione delle persone al volo, dato fondamentale in uno scalo che ha fatto del low cost il suo punto di forza. Un modo di viaggiare che ha allargato a dismisura la platea dei clienti, portando a bordo gente che probabilmente (con i prezzi del passato) non avrebbe mai preso un aereo. E ancora, quale incidenza avrà lo smart working nel traffico business, diventato un segmento rilevante anche nel low cost? Sono interrogativi che adesso non hanno una risposta certa, tanto più con la spada di Damocle di un ritorno della pandemia.

In queste condizioni si possono fare solo due cose: essere pronti e non volare basso. La ripresa dell’ampliamento ad ovest dell’aerostazione e il collegamento ferroviario sono due prime risposte. O meglio, conferme del fatto che Orio vuole continuare ad essere un elemento di sviluppo del territorio, puntando su infrastrutture (di qualità) e connessioni. Entrare nella rete del trasporto via ferro di Milano è sicuramente un elemento di forza, anche se in parallelo c’è da lavorare (e tanto) per far sì che una quota sempre più significativa di turisti si fermino a Bergamo e non usino solo lo scalo di passaggio. Impresa ora ancora più complessa, purtroppo,

Di certo è difficile immaginare una vera ripartenza senza che Orio torni a volare: in questo momento difficile e d’incertezza l’aeroporto è un asset fondamentale. Ma non nascondiamoci dietro ad un dito, bisogna continuare a lavorare (e tanto anche in questo caso) sul versante ambientale. Lo scalo è in una zona fortemente antropizzata e l’equilibrio è delicato, delicatissimo. In questi anni sono stati investiti 10 milioni di euro sulla mitigazione, cifre importanti che confermano la delicatezza del problema.

La crisi post Covid ci ha restituito un territorio in forte difficoltà, dove probabilmente dal punto di vista sociale ed economico il peggio deve ancora arrivare. Non possiamo permetterci di lasciare a terra punti di forza come Orio (e chi esultava via social sperando in un possibile addio di Ryanair non merita commenti) in un contesto dalla forte vocazione manifatturiera e all’export, ma allo stesso tempo dobbiamo lavorare, insieme, a un modello che coniughi ripresa, sviluppo e ambiente. Senza protagonismi di sorta o ambientalisti/complottisti da tastiera, ma con buon senso. Tanto buon senso. Perché se la Bergamasca tornerà a volare sarà anche grazie al suo aeroporto.

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