Sfidare l’Europa
non conviene a nessuno

Sono a rischio di effetto strabismo, gli italiani che, nonostante l’onda lunga di propaganda critica, credono a grande maggioranza (64%) nell’utilità della nostra appartenenza all’Europa. La contraddizione sta nel fatto che il Paese più europeista, la Francia di Macron, dà alimento all’anti Europa, mentre chi ha deciso di andarsene, il Regno Unito, o chi è stato messo ai margini, la Grecia, offre abbondanti argomenti a favore della scelta strategica europea.

È stato commovente l’Inno alla gioia per l’insediamento di Macron, ma è oggi preoccupante la caduta di consenso per l’enfant prodige dell’Eliseo, che qualche errore grave lo ha compiuto, come ben sappiano noi italiani che a Ventimiglia e sul Monginevro abbiamo verificato che l’arroganza nazionalistica non è mai tramontata oltralpe. «En marche» è ancora la più innovativa proposta politica nello smarrimento democratico contemporaneo, un tentativo di sintesi tra socialismo e liberalismo, vecchio sogno modernizzatore del secolo scorso, ma è stata una scelta elitaria, e la classe politica macroniana è apparsa improvvisata (cosa che in Francia non si perdona, a differenza dell’Italia).

Così, è bastato un costo della benzina pur inferiore a quello italiano, per infiammare le piazze. Il risultato è stato una resa forse inutile in sé. Concedendo nuova spesa pubblica (deficit al 3,5%, sia pur con un 1% una tantum e debito oltre 30 punti sotto il nostro) ha dato una mano involontaria al discusso 2,4% di Roma. Un brutto colpo, quasi alla vigilia di elezioni che saranno segnate da una forte spallata populista.

Comunque vada la disperata difesa della signora May del suo accordo con la Ue, è invece chiaro che nel Regno Unito si stanno scontando le bugie sovraniste di una bugiarda campagna referendaria che nel 2016 segnò la vittoria di misura della Brexit. Altro che guadagno netto, altro che vantaggi per le classi media e bassa, ribelli ad una Londra a sua volta elitaria. Il traballante accordo della May prevede un pagamento salato, da 40 e 60 miliardi di sterline, ma soprattutto la perdita di vantaggi formidabili per un Paese che esporta nel continente il 50% delle sue merci, e che avrà in casa un’Irlanda che resta europea perché ci sta benissimo, e ha fatto fatica persino ad incassare 13 miliardi di sanzione comminata da Bruxelles a Apple, in quanto scoraggiava la domiciliazione di altre multinazionali.

A meno di rifare (perché no?) il referendum sull’adesione all’Ue, per il Regno Unito si prepara – in un modo o nell’altro - un futuro di subordinazione all’Europa, che è il più grande mercato del mondo (a sua volta danneggiato). Uscirne significa perdere, non guadagnare, sovranità. È questa la lezione da indicare a chi mette a rischio con slogan emotivi (il più sciocco: quello contro gli euroburocrati) il ruolo della seconda manifattura e soprattutto della seconda esportatrice del continente.

Aveva insomma ragione, qualche settimana fa, il premier greco Tzipras quando consigliava al governo italiano di non sfidare l’Europa. Quest’ultima ha mille difetti, non ha una governance coraggiosa e di qualità, ha bisogno di una grande riforma e di quella Costituzione sciaguratamente non approvata a suo tempo, ma quando viene sfidata, per di più puerilmente, reagisce con unitarietà insospettata. Altro che letterine di Babbo Natale di Juncker e Moscovici. Il problema politico è che la disinvoltura finanziaria degli italiani coalizza un blocco che va dall’austerità del Nord alla durezza dei presunti amici dell’Est. Mai stata così politicamente unita, l’Europa, da quando l’Italia rifiuta (a parole) le regole sottoscritte.

Quanto infine a Tzipras, sta chiudendo una crisi che cominciò con l’assalto ai bancomat e il taglio di stipendi pubblici, ma ora può fare un regalo di Natale di 1,4 miliardi a 1,3 milioni di greci poveri, abbassa del 30% l’Imu greca, e elimina i tagli alle pensioni fatti a suo tempo per stare nei conti, non per mera propaganda su quelle d’oro.

Ascoltando l’Europa e rimettendosi la cravatta, magari perderà le elezioni, ma il suo Paese ha un Pil in crescita del 2%, (vero, non immaginario, come l’1,5 di Tria) e una disoccupazione scesa in tre anni dal 27% al 18,6%. Stare in Europa conviene.

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