Sogni di Coppa
e esodo d’altri tempi

Lo sport è straordinario: alimenta sogni collettivi che a volte si realizzano. Il calcio a Bergamo ne sta diventando l’emblema: fra tre settimane Atalanta-Lazio (scritto così, l’ha deciso ieri il sorteggio) sarà la finale di Coppa Italia. I nerazzurri la giocheranno per la seconda volta di sempre in gara unica. L’altra - 56 anni fa, e 56 anni dopo la fondazione - l’hanno vinta. Per provare a realizzare il sogno collettivo - rivincerla - da ieri si sta preparando un vero e proprio esodo che mercoledì 15 maggio porterà all’Olimpico di Roma 25 mila cuori nerazzurri.

I 143 pullman partiti per Genova il 29 giugno 1977 (Atalanta-Cagliari 2-1, promozione in A di fronte a 15 mila bergamaschi) e i 14.608 paganti di Reggio Emilia 40 anni dopo (14 settembre 2017) per Atalanta-Everton 3-0 al ritorno in Europa diventeranno briciole se succederà davvero quel che sembra.

I display pubblici nei comuni di ogni angolo della provincia invitano al viaggio nella capitale, si stanno preparando voli charter, treni speciali e carovane d’auto. Si muoveranno famiglie, compagnie, associazioni.

Il club è già travolto dalle richieste, l’organizzazione ferve anche perché prima della partita per le due finaliste si stanno organizzando appuntamenti istituzionali. Saranno momenti speciali per il mondo Atalanta, oggi più che mai unico nel calcio italiano per la sua capacità di abbinare un incrollabile senso d’appartenenza al puro fenomeno sportivo. Che si prevedano numeri del genere per una partita di calcio da giocare a 600 chilometri di distanza non è normale. Come non è normale che il presidente Antonio Percassi e l’allenatore Gian Piero Gasperini dicano in diretta alla Rai «Finale a casa della Lazio? Ma no, noi saremo comunque in casa, noi saremo in 25 mila» lasciando basiti l’intervistatore e tutti quelli che li stanno ascoltando.

Ma l’Atalanta oggi (meglio: da tre anni) è questo. È la perfetta simbiosi tra tutte quelle componenti di cui si parla sempre per nobilitare lo sport. Ma che poi in realtà non si combinano mai. Una proprietà lungimirante e appassionata, il club organizzato come pochi altri, la programmazione come segno distintivo, un allenatore formidabile, una squadra gara dopo gara più forte, l’ambiente che la spinge. Sempre. Giovedì sera quando dopo tre minuti ha fatto gol la Fiorentina dagli spalti sono partiti i cori più forti: non di gioia ma d’incitamento. Alla squadra serviva un aiuto. E poi la squadra con il suo calcio divertente ed efficace ha trasformato quell’incitamento dei 20 mila presenti sugli spalti in esultanza, le gocce di pioggia in lacrime sul viso: è fatta, tutti a Roma, è la strada per l’Europa.

E ieri, mentre in città si prepara l’esodo, la vita del club ha vissuto due momenti estremi e simbolici. Nel giorno dell’ultimo saluto a Mino Favini, guru del vivaio che ha fatto dell’Atalanta un fenomeno unico, il Citì azzurro Roberto Mancini ha convocato per uno stage della Nazionale maggiore il portiere Marco Carnesecchi, un 2000 che sta crescendo a Zingonia. Perché Favini ha nobilitato l’abilità dell’Atalanta, unica nel crescere i giovani e lanciarli nel calcio, e l’Atalanta onorerà uno dei suoi più grandi dirigenti continuando nella politica di valorizzazione del suo settore giovanile.

Bergamo sa bene che è questa la via per restare unici nel panorama calcistico italiano. E i bergamaschi hanno la forza di identificarsi prima in questa scelta e poi in questo momento speciale. Mentre l’Atalanta sta giocando per guadagnare la terza partecipazione di fila alle coppe europee (mai successo in 112 anni), la sua gente sta rendendo quasi ordinario l’esodo di 25 mila persone verso il tentativo di realizzare un sogno. Il calcio è questo: emozione, appartenenza. Il pallone viene dopo. Qui lo sappiamo. E andremo tutti a Roma.

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