Sogni d’oro, in gioco
il futuro d’Europa

Se è vero che la notte porta consiglio, auguriamoci che la prossima sia tra le più «illuminate» dal Dopoguerra ad oggi. Domani, infatti, saremo tutti chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo, un appuntamento - contrariamente a quanto spesso avvenuto negli ultimi 40 anni - non banale, in particolare per il nostro Paese, che mai come oggi sta vivendo una pericolosa deriva populista in grado di condizionare pesantemente il nostro futuro. Del resto quelle di domani sono le elezioni più politiche e decisive dal 1979, da quando cioè si vota per l’Europarlamento, perché in gioco c’è il concetto stesso di democrazia e il futuro dell’Europa comunitaria.

Sembra scontato – invece non lo è – ma il primo buon consiglio che deve arrivare è quello di andare a votare, per far valere davvero il nostro diritto/dovere di esprimere ciò che pensiamo e come - seppure a livello puramente teorico, in base ai programmi dei diversi partiti politici a cui «chiediamo» di rappresentarci - vorremmo essere «condotti». Votare non è solo una delle tante opportunità che ci offre la nostra Costituzione (in questo caso l’articolo 48), non è solo un diritto, ma – in egual misura – un dovere verso noi stessi e verso l’intera comunità di cui facciamo parte: vuol dire assumersi le proprie responsabilità nei confronti del proprio futuro e di quello degli altri, a cominciare dalla propria famiglia e dai propri figli.

Non andare alle urne in segno di disprezzo della politica e dei suoi rappresentanti (oggettivamente non tutti così degni di essere seduti dove stanno) non è un voto di protesta, può essere sì una forma di dissenso, ma certo non ha la stessa forza di un «non voto» espresso infilando nell’urna anche solo una scheda bianca: tra il partito dell’astensione e quello, appunto, della scheda bianca c’è una bella differenza, di peso e di valori, fermo restando che delegare ad altri scelte che ci competono direttamente non è soltanto una rinuncia a far valere la nostra opinione, ma anche ad affermare con pienezza la nostra dignità di persona e di cittadino.

La seconda esortazione che un sonno ristoratore dovrebbe suggerirci è quella – una volta all’interno della cabina elettorale – di esprimere il nostro voto dopo aver attentamente ascoltato la testa e non la pancia. È vero che la logica è lenta e l’istinto è veloce, ma «il mondo moderno della fretta (…) – come acutamente sottolinea lo scienziato Lamberto Maffei nel suo “Elogio della lentezza” – è portato al cinismo sociale, che tende a considerare il vecchio come un peso sul quale non è utile investire». Senza contare che quando il «cervello addominale» si irrita, combina un sacco di guai, come sanno bene i neuro-gastroenterologi che studiano il problema.

Portare a Strasburgo le strategie di governo che oggi agitano il nostro Paese (il termine «guidano» non è certo la parola giusta) sarebbe davvero un problema: il Vecchio Continente è sì «vecchio» e ha bisogno di un profondo rinnovamento, ma nel solco del cammino comune che l’Europa ha percorso fino ad oggi. Piaccia o no, la costruzione europea ha garantito settant’anni di pace tra Paesi spesso in guerra tra loro nel passato, nonché all’origine di due guerre mondiali in soli venticinque anni. Non solo, ha realizzato il mercato unico più grande del mondo, trasformando fragili monete nazionali in un’unica forte moneta, seconda soltanto al dollaro, ma, alla base di tutto, ha introdotto un sistema fondato su principi legislativi fortemente democratici, mettendo al bando violenza e prepotenza. Vi pare poco? Vi paiono risultati di così scarso valore tanto da giustificare la sola idea di mandare tutto al macero?

Certo c’è ancora tanta strada da fare, soprattutto – ad esempio – quella che non piace alle oligarchie economiche (americane, russe, cinesi…) che vogliono imporre all’Europa i loro business, stritolando i nostri mercati, prosciugandone le risorse, senza versare un euro (o un dollaro) di tasse. Ma per far questo è necessario che l’Europa sia coesa su una strategia comune e condivisa: una competizione su scala globale richiede soggetti a vocazione globale, e non può essere diversamente. Non è pensabile che un avversario come la Cina piuttosto che gli Usa possa essere affrontato con successo dai singoli Paese europei. Ancora oggi, troppi egoismi, miopie e guerricciole di confine affondano l’Europa dal suo interno.

Certo restano da fare anche gli europei, ma senza dubbio non è la strada del populismo e del sovranismo con cui si vorrebbe impregnare il Vecchio Continente quella che ci consentirebbe di avere un’Europa migliore. Ha ragione il presidente della Pontificia Accademia, Stefano Zamagni, ad invocare un nuovo Umanesimo, per dare finalmente un’anima all’Europa tornando allo spirito dei padri fondatori, come Schuman o De Gasperi. Al pari di nuove politiche fiscali, finanziarie ed economiche, al pari di nuove politiche sulle migrazioni e sull’accoglienza, il tema dell’identità europea non può non rivestire un ruolo di assoluto rilievo nel prossimo emiciclo di Strasburgo, tornando a mettere l’uomo al centro. Ma, avanti di questo passo, c’è da fare (o da rifare) pure gli italiani, alle prese con una profonda crisi identitaria e culturale che non può non avere le proprie radici anche in un sistema scolastico inadeguato, improduttivo e inefficace rispetto alle sfide in campo.

Anziché passare il tempo a litigare, scegliendo ogni volta la peggior soluzione per il problema più serio (tanto a pagare, e di tasca propria, saranno ancora una volta solo e soltanto gli italiani, perché – se mai ci sarà – l’Europa sovranista ci «saluterà» cordialmente), sarebbe meglio dare un’occhiata (ed occuparsene) agli indicatori scolastici dei nostri ragazzi. Invalsi, Istat e Ministero ci dicono che la percentuale di studenti di terza media che non raggiunge un livello sufficiente di competenza alfabetica è al 34,4%, mentre quella degli studenti che non raggiunge un livello sufficiente di competenza numerica è addirittura al 40,1%. Serve altro per dire a chi ci governa di cosa abbiamo bisogno?

Ma domani, oltre a scegliere chi dovrà rappresentarli in Europa, i cittadini di Bergamo e di altri 168 Comuni della provincia saranno chiamati ad eleggere pure il sindaco. Anche in questo caso, che la notte porti consiglio...

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