Task force Covid
Ma chi decide?

La stoccata più micidiale l’ha data il presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi al suo esordio assai poco diplomatico: «Vanno benissimo i comitati degli esperti ma la loro proliferazione dà il senso che la politica non ha capito, e non sa dove andare». Più chiaro di così non si potrebbe. In effetti a ben guardare la pandemia coronavirus sta facendo lievitare i comitati e gli organismi di tecnici ed esperti, tanti e soprattutto affollati, che assistono i politici nazionali e regionali. Tanto per cominciare con l’ultimo nato, la cosiddetta «task force» presieduta dal supermanager Vittorio Colao, essa conta ben 17 componenti ma non è chiaro quali competenze abbia ricevuto, se sia - come ha osservato qualcuno - un ufficio studi o una sede davvero operativa.

Lo capiremo forse oggi perché dovrebbe uscire un primo documento. Dentro la task force siedono di diritto due rappresentanti di strutture che a loro volta sono obbligati a camminare in parallelo: il commissario agli acquisti Arcuri e il capo della Protezione civile Borrelli (che, all’arrivo del primo minacciò le dimissioni, poi rientrate). Tutti costoro si devono coordinare in qualche modo con il comitato tecnico-scientifico che siede anch’esso a Palazzo Chigi e dovrebbe costituire l’ente apicale per quanto riguarda l’aspetto sanitario-epidemiologico – ma deve farlo insieme all’Istituto superiore di sanità, al Consiglio di Sanità e al consulente speciale del governo per la pandemia, il professor Ricciardi, che rappresenta anche l’Oms.

Il punto, come direbbe Carlo Bonomi, è che dal contributo di tutte queste personalità ancora non si capisce cosa significhi in concreto «Fase 2»: quando si ripartirà, chi ripartirà e soprattutto come ripartirà. Senza contare che, in omaggio alla famosa riforma del Titolo V della Costituzione del governo Amato – tutti costoro devono fare i conti con le regioni e con le decisioni di governatori che spesso arrivano prima e dopo un tira-e-molla con Roma. Attilio Fontana, governatore leghista della Lombardia, si fa consigliare da un «comitato di saggi», lo stesso probabilmente che gli ha suggerito prima di respingere la decisione governativa di far tirare su le saracinesche delle librerie e delle cartolerie mantenendole chiuse, e poi di premere per una riapertura più che ampia del sistema produttivo anche anteriormente al 4 maggio (posizione poi ridimensionata). In ogni caso i saggi della Regione hanno fornito una road map basata su quattro «d»: distanza, dispositivi, digitalizzazione, diagnosi, sufficiente per mettere in urto il Pirellone con il Comune di Milano, politicamente di segno opposto. Quanto ad esperti di vaglia, Fontana si è subito accaparrato Guido Bertolaso quando ha capito che a Roma il presidente del Consiglio Conte si orientava su altri nomi.

Viene insomma il sospetto che la politica, anzi i politici vadano avanti tenendo in alto una lampada per farsi luce: è pur vero che una cosa così grave e gigantesca non era mai accaduta e chi si è ritrovato al volante deve farsi l’esperienza sul campo. Però obiettivamente un certo sconcerto ormai si va diffondendo, e ci si chiede chi davvero prenda le decisioni: nella normalità delle cose – in cui purtroppo non siamo – il tecnico consiglia, suggerisce, magari spiega, ma poi è il politico che si assume la responsabilità della decisione.

Questo sconcerto cresce man mano che si fa più forte l’ansia della ripartenza per attenuare almeno i danni materiali causati dalla pandemia all’economia e a tutto il sistema-Paese rimasto paralizzato. Servono indicazioni univoche, chiare e ragionevoli, anche perché, avendo ahinoi fatto da cavia entrando per primi in Europa nell’emergenza, dovremmo teoricamente essere i primi ad uscirne riaccendendo i motori del Paese. Speriamo che sia così.

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