Un colpo alla mafia
e la lite tra poteri

Non è la prima volta che un ministro dell’Interno anticipa un’operazione di polizia rischiando di compromettere il lavoro degli investigatori o rivelando elementi sensibili che sarebbe stato meglio diffondere in un altro momento. L’allora ministro degli Interni Angelino Alfano annunciò nel giugno 2014 l’arresto di Massimo Bossetti in merito all’omicidio di Yara e fu aspramente criticato dalla procura di Bergamo, che nelle prime ore voleva mantenere il riserbo anche a tutela dell’indagato.

È avvenuto anche ieri, con un tweet del ministro Matteo Salvini che plaudiva a un’indagine non ancora conclusa con il rischio di compromettere arresti e mandati di cattura: «Anche a Torino altri 15 mafiosi nigeriani sono stati fermati dalla Polizia». Il procuratore capo del capoluogo subalpino Armando Spataro aveva diffuso una nota in cui invitava il responsabile del Viminale a «informarsi sulla tempistica al fine di evitare rischi di danni alle indagini in corso». Quello che ha colpito è la replica del vice premier leghista al procuratore. Per Salvini è «inaccettabile dire che il ministro dell’Interno possa danneggiare indagini e compromettere arresti. Qualcuno farebbe meglio a pensare prima di aprire bocca. Se il procuratore capo a Torino è stanco, si ritiri dal lavoro: a Spataro un futuro serenissimo da pensionato».

Al netto della mancanza di galateo istituzionale nei confronti di un magistrato di lungo corso quale è Spataro, uno dei principali nemici della ‘ndrangheta insieme a Nicola Gratteri, autore di inchieste memorabili anche sul terrorismo islamico, va detto che sarebbe quantomeno auspicabile che, chi per ruolo conosce le dinamiche delle indagini, in quanto al vertice della Polizia di Stato, non danneggiasse un’operazione in corso. Tra l’altro una recente sentenza della Corte Costituzionale ha ribadito che un procuratore o un sostituto procuratore è responsabile diretto della polizia giudiziaria e spetta a lui decidere se, come e quando far uscire le notizie per non compromettere il buon esito delle indagini. Senza voler sottilizzare sul fatto che, prima di qualificare qualcuno come mafioso, servirebbe quantomeno una sentenza.

Il ministro avrà certamente esultato anche per un’altra indagine della Dda di Palermo che ha disposto il fermo di 46 persone accusate di associazione mafiosa, tra cui il nuovo capo dell’organizzazione. Tra questi anche Settimino Mineo, 80 anni, ufficialmente gioielliere, un «curriculum» mafioso di decenni (era già stato condannato al maxiprocesso), ritenuto il nuovo capo di Cosa Nostra. Dopo la morte del boss Totò Riina, sarebbe stato designato al vertice della commissione provinciale, la cosiddetta «Cupola», che da anni ormai aveva smesso di riunirsi, segno che i clan avevano scelto di tornare alla struttura unitaria di un tempo.

L’anziano padrino di cui già il pentito Tommaso Buscetta fece il nome agli inquirenti, come è emerso dalle indagini dei carabinieri, aveva il terrore di essere intercettato e non usava telefoni. La Commissione provinciale di Cosa Nostra, che da anni ormai aveva smesso di riunirsi, sarebbe stata riconvocata il 29 maggio scorso: un summit che riporta ai riti tradizionali e sanguinari della vecchia mafia dominata per un certo periodo dai corleonesi. Un ritorno di fiamma di una delle organizzazioni più efferate d’Italia e del mondo stroncato dagli inquirenti. Qui un bel tweet del ministro ci stava, dopo essersi coordinato con la Procura di Palermo.

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