Una civiltà diversa, l’alleanza Kirill-Putin

Come è possibile che il Patriarca di Mosca, Kirill, condivida la guerra contro l’Ucraina? E che legame c’è con Putin? Lo scopo di Kirill è sempre stato quello di difendere l’ortodossia russa. Quando nel 1971 diventa rappresentante ufficiale presso il Consiglio ecumenico delle Chiese, a Ginevra, ha l’occasione per conosce le altre Chiese cristiane e la cultura occidentale. Il potere sovietico, di quel tempo, apprezzava le interlocuzioni con l’Occidente della Chiesa russa per l’immagine positiva che esse garantivano anche all’Urss.

Con lo scioglimento dell’Unione sovietica nel 1991, non solo le nazioni confinanti con l’Europa cercano l’indipendenza (repubbliche baltiche, Georgia, Ucraina), ma anche le diverse Chiese ortodosse, prima succubi di Mosca, vogliono più autonomia. Per ricompattare l’ortodossia Kirill elabora la dottrina del «mondo russo» (Russkij mir). Una strategia culturale e pastorale per evitare quella che, a suo avviso, è la deriva anti-evangelica delle Chiese cristiane d’Occidente, compresa quella cattolica. Ma è con l’ascesa politica di Putin che trova un «alleato» per il suo disegno. I sogni del nuovo zar sono di ridare consistenza all’impero russo riaffermando il potere di Mosca sugli Stati della vecchia unione, annettendosi tutti i territori abitati da russofoni. Il progetto di dominazione politica di Putin, e quello di ricomposizione ecclesiale di Kirill si intrecciano nell’idea di una diversa «civiltà» che ha le sue radici nella tradizione russa-ortodossa e si sta realizzando in una nuova Federazione russa.

L’intesa fra Putin e Kirill ha portato in Russia un nuovo centralismo, che spegne le attese democratiche e soffoca lentamente le voci dissidenti della società civile. In compenso Putin apre alla Chiesa ortodossa uno spazio di manovra del tutto impensabile fino a pochi anni fa: la presenza nella scuola, l’ampio riconoscimento sui media, il riconoscimento di titoli di studio e della teologia nelle facoltà statali, un massiccio sostegno alla costruzione delle chiese (al ritmo di 1.000 all’anno), la riapertura di centinaia di monasteri e il sostegno per imporre la sua egemonia all’ortodossia mondiale. Nella nuova Costituzione si fa esplicito riferimento a Dio e si garantisce che la famiglia è costituita da un uomo e una donna. I valori morali tradizionali si ergono a scudo fra la spiritualità della Russia e la decadenza dell’Occidente.

Papa Francesco dal canto suo non è ottimista nei confronti di Kirill. Per la fine della guerra ha subito messo in atto la preghiera universale della Chiesa cattolica e ha fatto la consacrazione dell’Ucraina e della Russia al cuore immacolato di Maria. Continua l’attività diplomatica della Santa Sede per il cessate il fuoco e l’apertura di canali umanitari, ma ha prudentemente sospeso l’incontro con lo stesso Kirill previsto a giugno e un’eventuale visita a Kiev.

Può darsi che Kirill avesse già conosciuto Putin al tempo del Kgb. Certo, qualche settimana fa, fece scandalo la citazione evangelica «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» usata da Putin per giustificare l’attacco all’Ucraina, a suo dire, messo in atto per fermare «il genocidio nel Donbass». Le stesse parole usate da Kirill a proposito dell’amicizia che deve unire i militari. Ma tutto sta andando secondo i piani? Non sembra. La giustificazione «teologica» dell’aggressione all’Ucraina ha visto la presa di distanza di oltre 300 preti ortodossi russi, mentre 400 preti ucraini, di obbedienza russa, hanno chiesto che Kirill venga dimesso dal suo ruolo. Cosa molto improbabile. Ci vorrebbe un Sinodo delle Chiese ortodosse per farlo. Quello che è certo è la perdita dell’Ucraina ortodossa per il Patriarcato di Mosca. Non è solo il venir meno di un terzo delle parrocchie complessive del Patriarcato e di un prezioso bacino di vocazioni monastiche e sacerdotali, ma soprattutto è il distacco simbolico dalla culla storica della Chiesa, la Rus’ di Kiev, che comprendeva oltre l’Ucraina, anche la Russia occidentale, parte del territorio di Bielorussia, Polonia e Repubbliche baltiche. Se Putin perderà la guerra o dovrà accontentarsi di parte del Sud, Kirill ha già perso l’Ucraina ortodossa. Il suo nome non viene più detto durante la liturgia. La guerra determinerà un prima e un dopo. Lo scisma in atto fra le Chiese ortodosse è una grave ferita alla testimonianza del cristianesimo nel suo insieme. In futuro, proprio l’Ucraina, luogo di convivenza di diverse Chiese, ortodosse, greca, armena, latina, potrà essere terreno di sperimentazione pastorale di una nuova comunione ecclesiale.

Papa Francesco dal canto suo non è ottimista nei confronti di Kirill. Per la fine della guerra ha subito messo in atto la preghiera universale della Chiesa cattolica e ha fatto la consacrazione dell’Ucraina e della Russia al cuore immacolato di Maria. Continua l’attività diplomatica della Santa Sede per il cessate il fuoco e l’apertura di canali umanitari, ma ha prudentemente sospeso l’incontro con lo stesso Kirill previsto a giugno e un’eventuale visita a Kiev. Nei discorsi ha usato parole di dura e ferma condanna della guerra, ma senza accuse dirette alle persone, seppur intuibili. Sa di essere attualmente l’unico riferimento credibile per l’insieme delle Chiese ortodosse e di dover assumere nel servizio petrino il peso della rappresentanza dell’intero mondo cristiano. È una situazione inedita che non si misura sulle relazioni personali o sulle urgenze immediate della geopolitica, ma sulle correnti profonde della storia. La storia è fatta dai popoli, la civiltà dagli operatori di pace. «Pace» questo è l’altro significato della parola Mir.

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