Usa, fa paura
lo smarrimento

Forse è giunta l’ora di preoccuparsi sul serio. Per gli Stati Uniti, che mai sono sembrati lacerati e confusi come in questo momento. E per le conseguenze che sul resto del pianeta può avere questo sbandamento epocale dell’unica superpotenza (economica, tecnologica, militare, finanziaria) davvero globale. Il primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden, rivali per la Casa Bianca che stanno arrivando alla stretta finale, è stato la rappresentazione plastica di quelle difficoltà. Trump è il candidato che il Partito repubblicano non vorrebbe ma dal quale è stato in pratica colonizzato. Biden è il candidato che il Partito democratico ha scelto in mancanza di meglio, il dignitoso politico a fine carriera, sacrificabile in caso di insuccesso mentre cresce una nuova generazione, quella rappresentata da Kamala Harris, la candidata alla vice-presidenza. Il livello del dibattito non è stato basso, come molti scrivono dopo aver fatto l’alba per ascoltare due anziani signori darsi del clown e del ritardato.

È stato invece corrispondente al penoso confronto pubblico degli ultimi mesi. Trump, che si è scoperto giustizialista, invoca «legge e ordine», ma ostenta quasi indifferenza per il malfunzionamento del sistema (nessuna polizia al mondo, forse, ha il grilletto facile come quella americana) e il fardello di discriminazioni sopportato dalle minoranze. Biden fa la persona per bene, vorrebbe i voti degli afroamericani ma teme di compromettersi agli occhi degli elettori bianchi. Per non parlare degli accenni di guerra civile nelle grandi città, di una stampa mai così faziosa e schierata, di un apparato giudiziario ormai succube delle divisioni politiche (si vedano le polemiche sulla Corte Suprema), di un apparato politico-sanitario incapace di affrontare il Covid 19 in maniera degna di una superpotenza.

Ma non è tutto. Lo smarrimento degli Usa, che tuttora vorrebbero indicare al resto del mondo i criteri di comportamento tra le nazioni e gli standard della vita associata, si è visto tutto nell’assurda polemica aperta con la Santa Sede da parte di Mike Pompeo, segretario di Stato americano. Trump è da tempo impegnato in un lungo scontro con la Cina, ormai percepita come il più scorretto e insidioso rivale per la supremazia planetaria. A gennaio è stato raggiunto un primo accordo, mentre la seconda fase, tra la repressione a Hong Kong e l’insoddisfazione americana, è del tutto bloccata. La Cina, per Trump, è anche un buon argomento per la campagna elettorale. Il Covid 19 è per lui il «China virus», il virus con cui la Cina, mentendo o forse facendolo apposta, ha messo in difficoltà gli altri Paesi.

Fin qui, almeno dal punto di vista di Trump, è tutto chiaro. Ma da qui a intimare alla Santa Sede di non rinnovare l’accordo con la Repubblica popolare cinese (un testo segreto e, appunto, provvisorio, che riguarda solo il piano ecclesiale e religioso), a chiederle di unirsi in una specie di crociata per rovesciare il regime cinese e ad aprire una crisi nei rapporti con il Vaticano e con papa Francesco in persona, correva molta strada. E Mike Pompeo, la massima autorità della diplomazia Usa, ha deciso di percorrerla in un balzo, in quella che le fonti vaticane hanno giustamente descritto come una speculazione elettorale. Il che fa capire quanto le ragioni della corsa alla presidenza facciano premio su ogni cosa, anche sugli equilibrii internazionali.

«L’America prima di tutto» fu l’efficace slogan della prima campagna elettorale di Trump. Il che non equivale, però, a muoversi tanto scompostamente, usando i grandi temi che toccano il resto del mondo come un muro su cui far rimbalzare le proprie palline. E poco rassicura il fatto che, a opporsi, sia un personaggio debole e in fondo ambiguo come Joe Biden. Al contrario. È la conferma che gli Stati Uniti stanno vivendo una complessa fase di adattamento a una situazione che non li vede più protagonisti assoluti come un tempo. La risposta di Trump è stata caricare a testa bassa, con il merito di scompaginare qualche luogo comune e il rischio di generare tensioni incontrollate. La proposta di Biden è recuperare il tradizionale sistema delle alleanze, con il merito di calmare le acque e il rischio di tornare a formule da tempo stanche e svuotate. La scelta agli americani, teniamoci forte.

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