Violenza sulle donne
Alleanza per uscirne

Parafrasando Bertolt Brecht, beato quel Paese che non ha bisogno di una Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. L’Italia, sciaguratamente, non è uno di questi. La violenza di genere al contrario aumenta, complice la pandemia Covid che ha fatto emergere ancora di più la furia bestiale dei «machi» chiusi e compressi dentro le pareti domestiche contro le loro vittime, pronti a scatenare la loro ferocia. Il lockdown ha esasperato situazioni già critiche: uomini che già erano violenti o prevaricanti hanno accentuato questi comportamenti contro le proprie mogli, figlie o compagne. Non sono impressioni, lo dicono i numeri. Da marzo a giugno 2020, in pieno lockdown, le chiamate al numero antiviolenza e stalking 1522 sono state oltre 15 mila, circa 123 ogni giorno, il 119,6% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (dati ActionAid). Le ultime stime parlano di una donna ogni tre giorni vittima di femminicidio, una piaga europea che non risparmia il nostro Paese. Per tre volte su quattro la violenza si è consumata in casa.

Questa furia bestiale spesso si verifica in presenza dei figli, che non solo sono costretti ad assistere a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della madre, ma spesso subiscono un ulteriore trauma nel vedere che il carnefice della loro mamma è il proprio padre, o il compagno della madre con il quale vivono, colui che magari al mattino li porta a scuola e che quella sera a pranzo o a cena siederà a tavola con loro. Uno choc da cui non si risolleveranno mai e che spesso causa gravi patologie, depressioni o tendenze compulsive violente, sulla via dell’abbandono scolastico, del bullismo e o del cyberbullismo. Molti bambini restano orfani, poiché il padre dopo l’omicidio si toglie la vita: una tragedia nella tragedia.

L’Italia insomma non è un Paese per donne, anche se il femminicidio coinvolge quasi tutti i Paesi europei, comprese Germania e Francia. Ma questo non è un motivo per consolarci. Guardando ai Paesi più poveri del mondo si aggiungono altre piaghe, come i matrimoni forzati, una delle più penose violenze subite dalle ragazze, da abusi e maltrattamenti, prostituzione e tratta delle schiave, mutilazioni genitali, schiavismo lavorativo, gravidanze precoci, stupri e molestie sessuali.

In questa notte così buia si intravede qualche fioca luce di cambiamento. È cambiata la cultura preponderante del «macho», soprattutto al Sud e sempre più donne decidono di reagire. Sta scomparendo quella mentalità che scambia il rapporto con il possesso, che considera la propria compagna come una sorta di proprietà privata, di oggetto, di giocattolo a propria disposizione. Non è un caso che la maggior parte delle violenze avviene durante una separazione, magari alla vigilia di un’udienza presso il tribunale.

Inoltre il numero di madri, figlie e compagne che prende consapevolezza della situazione decide di andarsene e di denunciare il reato è un importante segnale positivo di un cambiamento. La strada è ancora lunga perché il numero che dobbiamo raggiungere è zero. Ma il problema, prima ancora che politico o legislativo (l’istituzione del complesso di recenti leggi di protezione della donna che va sotto il nome di «codice rosso» sta funzionando) è soprattutto culturale. Ecco perché serve un piano organico e strutturato che coinvolga tutte le agenzie educative, dalle scuole medie inferiori all’università. È anche ora che la politica, le imprese, gli enti filantropici e i media facciano un passo avanti deciso per contrastare la violenza e la discriminazione e la mettano, finalmente, al centro delle loro agende.

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