«Sorriso, bravura e stima: Sofia era come una figlia»

SCANZOROSCIATE. A un mese dalla tragedia, il ricordo della titolare del centro estetico dove lavorava Sofia Bagattini, morta a soli 18 anni in un incidente stradale a Nembro.

«Per me Sofia era come una figlia. Non l’ho conosciuta a lungo, ma questi anni sono stati intensi: bravissima sul lavoro nonostante ancora giovane, si vedeva che la sua era una passione e le clienti se ne accorgevano. Ordinata, solare, sempre sorridente. Ne avrebbe fatta di strada e se lo sarebbe meritato». Luana Gabbiadini sfoglia le pagine dell’agenda del suo centro estetico, il Fahrenheit di Scanzorosciate, accarezzando le parole scritte solo più di un mese fa da Sofia Bagattini, morta a soli 18 anni all’alba del 17 dicembre, in un incidente stradale a Nembro. Dall’autunno del ’20 Sofia lavorava tra queste mura – stagista per i primi due anni, da studente di Abf, poi con l’alternanza scuola-lavoro e, infine, assunta in apprendistato – e si era trovata fin da subito bene.

Un sentimento reciproco della titolare, che preferisce essere definita «collega» di Sofia e delle altre quattro sue dipendenti. E che ripensa a quell’ultimo saluto di Sofia, poche ore prima dello schianto: «Erano le 18,08 di sabato 16. Ero al lavoro nella prima cabina, lei è salita dalle scale, mi ha detto “Ci vediamo lunedì”, ha sorriso ed è uscita. Ogni tanto riguardo questa scena ripresa dalla telecamera di sicurezza. Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe stato l’ultimo saluto?». La mattina dopo è un’altra dipendente ad avvisarla: «Una chiamata surreale: avevo capito, ma il mio cervello non voleva crederci. Mio marito mi ha accompagnato a casa di Sofia e, non vedendo i paramenti, gli ho detto: “Hai visto? Avevo capito male, non è successo niente”. Poi è uscita la mamma, ci siamo guardate e ho concretizzato che era tutto vero».

Proprio il giorno prima Luana e Sofia avevano parlato del futuro lavorativo della diciottenne: «Faceva 6 ore, ma di fatto erano sempre 8, con gli straordinari – ricorda commossa la titolare –: per questo l’avrei formalizzata a 8 ore. Se lo meritava: era davvero brava e la mamma mi raccontava che anche quando tornava a casa continuava a esercitarsi. Era umile e puntava sempre al meglio. Le dicevo: “Sofi, fai vedere le tue unghie alla cliente”. Ma lei tirava via la mano: cercava la perfezione. E io scherzavo: guarda che è meglio del catalogo. Ed era vero. Questo è un lavoro a contatto con le persone: se non sei capace, il cliente se ne accorge. Lei invece era già richiesta: dalle sue coetanee, ma anche da clienti adulte che ne apprezzavano professionalità, ordine e cortesia».

Lunedì 15 gennaio Luana ha riaperto per la prima volta dopo un mese il kit personale di Sofia: ordinatissimo e pronto per la cliente successiva che la diciottenne non avrebbe mai potuto ricevere. Qui dentro tanto parla ancora di Sofia: sul muro dell’ingresso, sopra il divanetto rosso dove si sedeva sempre a fine lavoro per aspettare che il fratello la venisse a prendere perché lei non aveva ancora la patente, è stato riprodotto, con tanto di cuore e sopra un orsacchiotto della Thun, un «Buongiorno» con la sua grafia. «Mi è capitato di recente di ringraziare il fratello per quei ritardi che mi hanno dato modo di passare del tempo con lei a chiacchierare – confida Luana –. Gestisco questo centro da 23 anni e di stagiste ne ho avute, ma Sofia aveva una marcia in più. Pur conoscendo io sua zia, perché i nostri figli erano all’asilo assieme, è entrata qui in punta di piedi, senza mai far leva sulla parentela». Luana scorre e riscorre la chat con Sofia, dal primo messaggio del 17 gennaio 2021 fino all’ultimo: «Non era il tipo da dire tante volte: ti voglio bene. Per questo, quando è capitato, aveva un valore che serberò nel mio cuore».

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