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Sabato 14 Settembre 2024
Transizione verde, una sfida esistenziale
MONDO. Molti operatori privati europei coinvolti nella transizione ecologica attraversano una situazione complicata.
La svedese Northvolt è stata presentata dalle istituzioni di Bruxelles e dai media del continente come la prima grande impresa nativa europea in grado di produrre batterie, a partire da quelle per le automobili elettriche. Un’azienda che nel 2020 si è aggiudicata un sostanzioso prestito della Banca europea per gli investimenti destinato alla costruzione della sua gigafactory a Skellefteå, nel Nord della Svezia. Uno stabilimento quasi del tutto alimentato da energie rinnovabili, costruito a ridosso di una zona mineraria e quindi con il potenziale accesso ad almeno alcune delle materie prime necessarie. È dunque comprensibile che da quando ha effettivamente avviato la produzione di batterie, nel dicembre 2021, Northvolt sia diventata un simbolo dell’industria tecnologica pulita «made in Europe» e di una transizione verde di successo. All’inizio di quest’anno è stata coinvolta in un’altra decisione simbolica: la Commissione Ue ha approvato 902 milioni di euro di aiuti di Stato stanziati dalla Germania per indurre Northvolt ad aprire un impianto nella prima economia europea e a non cedere alle lusinghe del mercato statunitense. In queste ore, però, questo simbolo luccica un po’ meno. Il gruppo svedese ha annunciato infatti che dovrà ridurre i propri costi operativi, cercare partner industriali per rilanciare alcune delle sue attività, e infine ridurre il numero dei suoi circa 6mila dipendenti.
Cosa è successo? Sono almeno quattro le spiegazioni possibili, tutte rivelatorie della situazione complicata che attraversano molti operatori privati europei coinvolti nella transizione ecologica. Northvolt innanzitutto ha fatto capire di voler rivedere il focus delle attività per migliorare la propria stabilità finanziaria; si concentrerà sulla manifattura di celle per batterie, sospendendo però la produzione del materiale attivo catodico (Cam). «Questo materiale attivo catodico - ha spiegato Daniel Brandell, ricercatore dell’Università di Uppsala - è la parte più complessa di una batteria agli ioni di litio, e in Northvolt non pensano che il loro materiale in-house sia di qualità sufficiente, di conseguenza devono acquistarlo o importarlo da altri fornitori».
Al problema di capacità produttiva si affianca un problema di domanda che è sempre più debole. Questa estate, per esempio, la casa automobilistica tedesca Bmw ha deciso di annullare un ordine importante di batterie all’azienda svedese. La vendita di automobili elettriche cresce nel nostro continente ma decisamente non al ritmo sperato da molti costruttori occidentali. Così Volvo, marchio svedese acquisito nel 2010 da investitori cinesi, ha appena annunciato che rivedrà i tempi della elettrificazione di tutte le proprie vetture. Per non dire dell’annuncio choc della tedesca Volkswagen che, a causa domanda di veicoli più contenuta delle attese, ha detto di essere pronta a chiudere uno o due impianti in Germania. Sarebbe la prima volta che accade in 87 anni di storia del gruppo.
La terza spiegazione della frenata di Northvolt si trova nella crescente concorrenza internazionale, asiatica in primis. L’anno scorso la produzione manifatturiera di batterie in Europa ha raggiunto all’incirca i 65 GWh, alle spalle degli 80 GWh degli Stati Uniti e molto dietro rispetto ai 670 GWh di produzione cinese. Pechino, che tra l’altro elargisce al clean-tech almeno il doppio dei sussidi pubblici assegnati dall’Ue, si trova sempre più spesso sbarrata - a suon di dazi - la strada del mercato statunitense, quindi anche in questo settore riversa la sua capacità produttiva in eccesso sul mercato europeo, con conseguenze nefaste per l’industria locale. Infine, secondo alcuni osservatori, Northvolt si starebbe scontrando anche con le difficoltà di reperire capitali (di rischio) sufficienti nel contesto europeo. Questo momento critico per l’azienda svedese cade proprio nelle stesse ore in cui l’ex premier italiano e presidente della Bce, Mario Draghi, nel suo rapporto «Il futuro della competitività in Europa», osserva: «Nonostante l’ambizione dell’Ue di mantenere e sviluppare la capacità manifatturiera per le tecnologie pulite, ci sono diversi segnali di una evoluzione nella direzione opposta. In molti segmenti, le società europee stanno annunciando tagli alla produzione nell’Ue, chiusure, trasferimento parziale o totale in altre regioni del pianeta».
A chi guarda dall’alto in basso i produttori automotive alle prese con una difficile transizione ecologica, o le aziende di componentistica tradizionalmente molto radicate nel nostro Paese, quasi fossero dei residuati (inquinanti) dell’industria novecentesca, la storia di Northvolt insegna che è tutta la filiera della manifattura tecnologica pulita a incontrare difficoltà oggi nel nostro continente. La sfida è «esistenziale», come ha detto Draghi: o si sostiene l’innovazione con più investimenti (anche comuni) e meno oneri normativi, oltre che con una «politica economica estera» realistica, oppure l’industria e l’Europa proseguiranno in questa loro «lenta agonia».
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