Le tre vite di Simone Moro: «Ritorno sul Manaslu. In vetta alla scoperta della propria fragilità»

L’INTERVISTA. Alpinista, pilota, imprenditore. La vita di Simone Moro, la sua storia e un importante messaggio: «La montagna può essere una scuola di vita, ma non per la fama: qui devi cercare il silenzio, la capacità di ascoltarti, scoprendo la propria umiltà e fragilità».

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«Sto vivendo tre vite: quella di alpinista, e in questi mesi mi sto preparando per una spedizione invernale. La partenza è prevista nel tardo autunno con l’obiettivo di riuscire a chiudere il cerchio con la montagna che mi ha respinto già cinque volte, il Manaslu, 8.167 metri». Simone Moro si racconta così e parla della scalata «in stile alpino che nessuno ha mai fatto» che lo attende, ancora una volta.

«La seconda parte della mia vita - continua Moro - è quella di pilota di elicottero, principalmente in Nepal, dove mi occupo di soccorsi in altissima quota, sia per gli alpinisti sia per la popolazione locale». E poi c’è la terza vita, la più recente: «Insieme ad altri soci sono diventata proprietario del “Pighet” - racconta -. Di mia competenza è l’eliporto e ho anche iniziato a occuparmi degli animali che qui ho iniziato a curare: ci sono per ora capre e anche un asino. Mi piace pensarmi, quando smetterò di fare l’alpinista, nella natura».

E così Simone Moro parla del futuro, ma anche del passato: «Nasco a 500 metri dalla Curva Nord dello stadio, a Bergamo - dice -. Non sono un predestinato, non ho tradizioni familiari alpinistiche. Nasco da una famiglia modesta e la mia prima montagna è stata la Maresana». Parla e ricorda Walter Bonatti: «Ho iniziato a scalare a Cornalba: qui ho capito che per diventare qualcuno, per fare l’alpinista - dice - serve avere il fuoco dentro».

E aggiunge: «Mi narro bergamasco, e mi narro come una persona che ha saputo vincere e perdere, sempre alla grande. A volte bisogna scegliere di essere felici e perdenti». Ma il successo per un alpinista? «Non è quando si arriva in vetta, il bello viene proprio dopo, con la discesa. Ma è quel senso di piccolezza, non di onnipotenza che qualcuno si immagina. In cima capisci quanto si è vulnerabili - spiega -. La montagna può essere una scuola di vita, ma non per la fama: qui devi cercare il silenzio, la capacità di ascoltarti, scoprendo la propria umiltà e fragilità. E così capisci che le cose che sono a casa non sono scontate, mai ovvie».

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