Mister Juric: «La mia Atalanta? Deve appassionare»

L’INTERVISTA. Il Trofeo Bortolotti contro la Juventuus è in programma nella serata di sabato 16 agosto e il 14 agosto mister Juric è stato in visita in redazione: «A Bergamo ho subito percepito l’attaccamento alla squadra. Per gli obiettivi aspettiamo la fine del mercato. Io un valorizzatore? Mi dà grande gioia».

È concreto, va dritto al punto. È così Ivan Juric, il 14 agosto graditissimo ospite nella redazione del nostro giornale, ed è così che vuole la sua Atalanta: aggressiva, entusiasta, determinata, con ritmo. Ripete spesso dell’importanza del lavoro, una condizione fondamentale per raccogliere l’eredità di Gasperini:«È stato un bellissimo ciclo, una cosa che non credo in Italia sia mai successa. È stato ai livelli di Ferguson. C’è stato un lavoro strepitoso di tutti quanti - racconta Juric -. Quando finisce un ciclo così marcato, pesante, che ha cambiato la storia, bisogna prepararsi veramente bene, perché cambiano tante cose e non è facile dopo nove anni».

Questa preparazione passa anche dal mercato: «Abbiamo fin qui perso giocatori importanti, l’80 o il 90% dei gol e non è facile sostituirli. Cercheremo sicuramente di farlo. Dal mio punto di vista, bisogna rafforzarsi. Quando finisce un ciclo così, devi essere pronto a tutto. Mi auguro che si riesca a fare tutto, che l’Atalanta continui a essere competitiva. Non sai dove arrivi, ma devi essere competitivo e, per esserlo, devi fare tante cose sul mercato».

«Dal mio punto di vista, bisogna rafforzarsi. Quando finisce un ciclo così, devi essere pronto a tutto. Mi auguro che si riesca a fare tutto, che l’Atalanta continui a essere competitiva»

Il caso Lookman quanto ha influito, se ha influito, sull’ambiente?

«Ademola con me è stato molto corretto, mi ha spiegato il suo pensiero. Bisogna accettare la situazione. È un giocatore strepitoso. C’è grande dispiacere che si sia arrivati a questo punto, ma secondo me non ha influito tanto perché è successo all’inizio. Ho allenato la squadra senza Ademola perché aveva un problema al polpaccio, dopo è successo tutto questo. Sappiamo che la società lavora, deve risolvere, ma come giocatori e staff andiamo dritti per la nostra strada».

Retegui e Lookman sono una buona fetta dei gol della squadra. Rientra Scamacca, ma chi può alzare la propria quota gol?

«Non possiamo immaginare che arrivi uno che fa trenta gol come Retegui. Chi è in rosa ha potenziale. Maldini, Kamaldeen Sulemana, De Ketelaere. Non sono al livello di Lookman, ma lavorando si possono avvicinare. Quello che è importante, secondo me, è che si trovino altre risorse. Se pensiamo che ne mettiamo due uguali a quelli che partono, sbagliamo. Questi miglioreranno, ne sono convinto, però dobbiamo aggiungere anche altro».

«Ademola con me è stato molto corretto, mi ha spiegato il suo pensiero. Bisogna accettare la situazione. È un giocatore strepitoso. C’è grande dispiacere che si sia arrivati a questo punto, ma secondo me non ha influito tanto perché è successo all’inizio. Ho allenato la squadra senza Ademola perché aveva un problema al polpaccio, dopo è successo tutto questo»

Quando sono arrivati, né Lookman, né Retegui avevano alle spalle questi numeri.

«Retegui, per caratteristiche, sapevo che all’Atalanta avrebbe fatto tanti gol. Ha fatto una stagione straordinaria. Lookman è il frutto di una progressione di lavoro e mi auguro possa succedere con Maldini, Kamaldeen, De Ketelaere e tutti gli altri».

Preferisce una riserva simile a Scamacca o avere un attacco con caratteristiche diverse?

«Il mercato degli attaccanti è difficilissimo, tutti li cercano. Sono molto contento di Gianluca per questo mese. Siamo andati progressivamente coi carichi. Già dalla Juventus voglio iniziare a buttarlo dentro, è un giocatore importantissimo. Però con tante partite, inserendo un altro giocatore, siamo competitivi su tutti i fronti».

Il mercato dell’Atalanta è cominciato con il rientro di Scamacca e Scalvini. Dopo un anno difficile, come stanno crescendo?

«In teoria li abbiamo recuperati e vogliamo che tornino quelli che erano. Abbiamo perso Kolasinac, che per me è strepitoso. Quello che vedo di questi due, ma in generale di tutti, è una cultura del lavoro pazzesca. Ci vuole tempo, devono fare minuti. Sono consapevole che saranno alti e bassi, ma torneranno quello che erano, se non meglio».

Negli anni ha ricevuto l’etichetta di valorizzatore.

«Ne sono contento. Qualcuno magari sottovaluta l’aspetto, ma è bellissimo. A me dà la gioia di vivere. Quello che mi dà più soddisfazione, togliendo la pura vittoria, è vedere com’era Bellanova all’inizio a Torino e com’è oggi. Mi dà piacere prendermi cura di un individuo, farlo crescere, migliorarlo anche come persona».

In estate si è puntato sul 2008 Ahanor. Come lo sta vedendo? Quando rientrerà Kolasinac, potrà essere per lui una «chioccia»?

«Sì. È un giovane di grandissima prospettiva. Sta soffrendo tanto i carichi perché è il primo ritiro per lui. Ho visto una mentalità positiva. È sveglio, vuole migliorare, lavorare. È serio, maturo per l’età che ha. Peccato per Kolasinac, perché con lui in campo Ahanor poteva vedere, nella sua posizione, un “mega player” che poteva dargli una mano, ma non ho dubbi su di lui».

Ha parlato di sofferenza della preparazione. Come sta lei, il primo «infortunato» della stagione e come sta la squadra?

«È tutto risolto, devo ringraziare l’ospedale Bolognini di Seriate. Là ho percepito l’attaccamento per l’Atalanta e Bergamo. Per quanto riguarda la squadra, Ederson ora ha un problema al ginocchio, questione di tre o quattro giorni di riposo. Fino ad adesso tutto liscio, speriamo di continuare così quando inizieranno le partite».

Primavera e Under 23 possono essere un bacino?

«Partiamo da un presupposto: l’Under 23 è tutt’altra cosa rispetto alla Primavera. Abbiamo Bernasconi che è interessantissimo, Palestra che era già in rosa. Ci sono tanti ragazzi che, se io fossi l’allenatore di una squadra che in Serie A deve salvarsi, farei giocare. Ma qui il livello è più alto e devono fare il loro percorso. Bisogna stare attenti alla loro crescita. Bellanova era qui ed è tornato dopo anni, non perché qualcuno avesse sbagliato, ma perché non era pronto. L’Under 23 dev’essere una risorsa. In due anni con Ciccio (Modesto, ndr) hanno lavorato a un altissimo livello».

Lei, che ha allenato Bocchetti, il nuovo allenatore dell’Under 23, già lo vedeva come possibile allenatore?

«Con Sasà ho giocato e poi è stato mio giocatore. Lo volevo nello staff già a Verona. Arriviamo tutti dalla stessa scuola. C’è una collaborazione molto intensa. C’è tantissimo materiale da esplorare e far crescere come Bernasconi che mi sta facendo una buonissima impressione».

Parlando del suo lavoro usa sempre il plurale, riferendosi allo staff, dove ci sono anche dei giovani. E sembra anche molto appassionato dello sviluppo tecnologico delle metodologie di allenamento, magari anche per l’esperienza in Premier League.

«Qua c’è una cultura del lavoro pazzesca. Riccardo Del Vescovo (già con Juric a Verona, ndr), il capo dello staff medico, per me è un fuoriclasse. Anche il mio staff è di altissimo valore. Per le statistiche, il mondo della Premier mi ha aperto gli occhi. Non siamo al loro livello, hanno un’ossessione sui numeri. Sud (Gopaladesikan, ora al Newcastle) mi ha dato una grandissima mano all’inizio. Ora abbiamo altre persone e cerchiamo di diventare più forti anche su questo aspetto».

Cosa l’ha colpita di più dell’ambiente Atalanta?

«L’attaccamento. Dopo un mese mi sento a casa. Mi hanno fatto sentire bene dal primo momento, non accade sempre».

Ha trovato la società che aveva in testa o diversa da quello che immaginava?

«Sapevo quello che avrei trovato a livello di lavoro. Sono rimasto colpito in positivo anche da tutto il resto».

«La cosa che mi ha colpito di più dell’Atalanta? L’attaccamento. Dopo un mese mi sento a casa. Mi hanno fatto sentire bene dal primo momento, non accade sempre»

Crotone, Genova, Verona, Torino, Roma, ora Bergamo: tutte piazze calde. C’è anche questo elemento nelle sue scelte?

«È capitato. Ho giocato a Crotone e mi hanno richiamato perché mi conoscevano. Come a Genova. Adesso questa storia all’Atalanta, che può essere bellissima per me, parte dal direttore Tony D’Amico. Abbiamo lavorato insieme, sappiamo come lavoriamo, come siamo come persone».

Vuole un’Atalanta pop, rock o metallara?

«Sempre metallara».

Che in termini calcistici vuol dire?

«Una squadra aggressiva, con ritmo, entusiasmo, gioventù, che appassioni».

Come i Metallica?

«Sì, va bene (sorride, ndr)».

Che qualità si riconosce e che difetti?

«Sono un po’ umorale, passo da felicità a tristezza. A Spalato siamo un po’ così. A Verona è stato un grandissimo vantaggio, altrove un difetto. Spero che a Bergamo sia un vantaggio».

A Bergamo siamo un po’ chiusi...

«Non l’ho percepito. Quando ero in ospedale, entravano in camera, mi parlavano. Poi qua c’è un forte radicamento. Tutte cose che mi piacciono, somigliano a Spalato».

Da fuori è visto come un sergente di ferro, ma si colgono tanti riferimenti umani nelle sue dichiarazioni.

«Non mi riconosco in questo, anzi. Magari in certi posti diventi umorale in senso negativo, ma sergente di ferro no. Sono esigente e cattivo durante gli allenamenti, ma dopo no».

«Con i tifosi spero nella naturalezza. Cerco di fare il meglio per la squadra e i tifosi spero apprezzino. Che tutto sia naturale, non forzato. Mi auguro che i tifosi si divertano e che si possa avere un grande rapporto»

C’è una cosa sulla quale non transige?

«Non sopporto il non lavoro. Possiamo anche andare a cena, bere insieme, ma la mattina dopo tu devi andare forte. Non accetto che un giocatore non si alleni al massimo. Ma i giocatori la caratteristica di andar forte ce l’hanno dentro. È una cosa fantastica».

Che rapporto vuole avere coi tifosi?

«Spero nella naturalezza. Cerco di fare il meglio per la squadra e i tifosi spero apprezzino. Che tutto sia naturale, non forzato. Mi auguro che i tifosi si divertano e che si possa avere un grande rapporto».

In Serie A è sempre più difficile stare in alto, tanti si rinforzano. Lei si dà degli obiettivi?

«Penso che l’Atalanta debba essere competitiva, per gli obiettivi vediamo a fine mercato. Quello che possiamo notare è che la concorrenza si è alzata. Sarà difficile e dobbiamo essere all’altezza. Quanto si vedrà, ma rimanere competitivi e battagliare con chiunque, sì. Il campionato sarà durissimo nella parte sinistra della classifica».

«Il Trofeo Bortolotti è l’ultima partita prima del campionato, contro una grande Juventus. Sarà una bella prova. Non significa niente, ma mi serve per capire se siamo pronti, se siamo competitivi, cosa manca»

La Champions League come se la immagina?

«Spero fantastica, la guardavo in tv. Mi ha aiutato andare in Premier League, vedere quel tipo di giocatori, la loro velocità, per essere pronto ora e fare delle belle partite».

È uscito da Zingonia?

«Sono andato una volta a Bergamo alta, mi ha sorpreso. Anche mia moglie ha trovato la città bellissima».

Com’è entrare in uno spogliatoio dove ci sono giocatori che sono qui da tanti anni? De Roon, Djimsiti, Pasalic, Zappacosta. Il gruppo è sempre stata un po’ la forza dell’Atalanta.

«È stato molto naturale. Da come sono capisci perché hanno questa carriera. A un giovane dai l’esempio di Jimmy, di Mario, di Marten ((Djimsiti, Pasalic, de Roon, ndr). È stato naturale, li tratti normalmente, accettano tutto. Vogliono lavorare, vogliono che mostri loro le cose positive e negative e il giorno dopo, con grandissima umiltà, cercano di fare quello che chiedo».

Cosa deve fare il portiere dell’Atalanta? Il ruolo è cambiato negli anni.

«Carnesecchi è un talento puro. Ha un margine di miglioramento pazzesco, su tante cose. Vorrei migliorasse nel gioco coi piedi, una cosa che è diventata basilare. Ma senza mai diventare presuntuosi».

A livello di squadra dove sono le aree di miglioramento più grandi?

«Me lo tengo un po’ per me. Non è facile cambiare una squadra così radicata. Ci sono cose che mi piacciono e altre che vorrei fare diversamente. I giocatori accettano tutte le proposte. Vediamo se riusciamo a migliorare il prodotto».

Cosa non le piace del calcio di oggi?

«Tutto quello che non è la Premier League. In Inghilterra ho scoperto un mondo diverso, migliore, in tutto. Migliore per arbitri, comportamento. Hanno un modo di fare molto professionale, onesto, semplice. Odiano il var, anche a favore. Vogliono lo spettacolo. Mai una parola brutta per noi che eravamo ultimi. In Italia, Croazia, Spagna, siamo latini, focosi, stressati, nervosi. In Inghilterra ho apprezzato anche cura degli inglesi verso i propri giocatori. Vedendo allenatori di altissimo livello, come Frank del Tottenham, impari tanto».

A Roma ci volevano più pazienza e serenità, aveva detto. Qua ha ritrovato questo?

«A Roma non c’entravo niente, la persona che mi ha portato se n’è andata dopo cinque giorni. Mi sono trovato delegittimato e non mi sentivo a mio agio. A Southampton, nonostante la mancanza di risultati, è stata l’esperienza più bella della mia vita. A Bergamo ci sono tante cose belle da coltivare. I presupposti sono fantastici».

Difficile pensare che Ederson non sia stato cercato dal mercato, ma ora pare di capire possa essere un giocatore centrale nella prossima stagione. Come lo sta vedendo?

«Lo vedo dentro completamente, dall’inizio. Mai avuta la sensazione di un malcontento. Il suo comportamento fino ad adesso è stato esemplare».

Sabato c’è la Juventus per il Trofeo Bortolotti. Un assaggio della Serie A.

«È l’ultima partita prima del campionato, contro una grande Juventus. Sarà una bella prova. Non significa niente, ma mi serve per capire se siamo pronti, se siamo competitivi, cosa manca».

© RIPRODUZIONE RISERVATA