Dalla notte a San Siro all’incubo Covid
Atalanta-Valencia: un vuoto lungo un anno

Oggi il primo anniversario di Atalanta-Valencia, l’ultima partita casalinga dei nerazzurri davanti al loro pubblico. Dal tripudio del 4-1 alla pandemia. Le partite ora si vedono, ma non si vivono.

Giorgio ha compiuto da pochi giorni 18 anni e quella notte del 19 febbraio di un anno fa sta salendo leggero e felice sull’auto del papà per fare ritorno a casa da Milano. Ha arrotolato sotto il braccio il suo striscione metà nero e metà azzurro, cucitogli insieme dalla nonna, sul quale lui ha applicato con strisce adesive bianche la scritta «Daga Det», nel dialetto di noi pòta. Non sta nella pelle perché la sua Atalanta, nel tempio di San Siro, ha appena travolto gli spagnoli del Valencia per 4-1 nel match d’andata degli ottavi di finale dell’Europa Champions League, creando i presupposti per il passaggio del turno. Due settimane dopo, la squadra completerà il capolavoro segnando altri quattro gol a Valencia, tutti con Ilicic.

Tornando a casa

Tornando verso casa, nella notte, Giorgio ha ancora negli occhi le prodezze di Ilicic, Freuler e Hateboer, il quale ha realizzato addirittura una doppietta. Fra l’altro, sono appena passati quattro giorni da quell’altra nottata altrettanto entusiasmante, nella quale l’Atalanta, nella splendida cornice del rinnovato stadio di proprietà, aveva schiantato la resistenza della Roma e aveva rafforzato la quarta posizione in classifica, alle spalle di Juve, Lazio e Inter. Quella partita era stata esaltante nella sua evoluzione emotiva: la Dea era andata sotto alla fine del primo tempo per un gol di Dzeko, ma all’inizio del secondo aveva ribaltato l’avversario alla sua maniera, schiacciandolo nella propria metà campo, asfissiandolo col ritmo e infine stendendolo con una poderosa doppietta firmata da Palomino e Pasalic. Un momento magico, insomma, che invitava a sognare a occhi aperti futuri scenari pieni di gioie e soddisfazioni.

L’ultima volta

Col morale alle stelle e la fantasia che galoppa ormai senza freni inibitori, le decine di migliaia di tifosi nerazzurri che avevano invaso quella sera il capoluogo lombardo non immaginano certo che nel loro amatissimo stadio, in quella curva Nord nuova di pacca, in cui è esaltante fare il tifo in uno sventolio festoso di bandiere e striscioni, non ci torneranno più per chissà quanto tempo. E non torneranno nemmeno negli altri stadi d’Italia e d’Europa che il popolo atalantino si è abituato a frequentare da quando questa straordinaria Atalanta targata Gasp è diventata un fenomeno di dimensioni continentali. Il virus assassino che tante vittime sta cominciando a mietere, seminando lutti e paure nelle nostre contrade, cambierà le abitudini della loro vita, delle vite di tutti noi. Stare assieme, gioire, soffrire, cantare, abbracciarsi, imprecare, annusare il puzzo dell’arena non è più permesso. Bisogna isolarsi, chiudersi in casa, mascherarsi, interrompere qualsiasi rapporto, anche quelli di buon vicinato. Persino all’interno delle famiglie, laddove si è insinuato il perfido virus, bisogna alzare muri divisori: uno in una stanza, uno nell’altra, il terzo nell’altra ancora.

Si gioca, poi lo stop

È un tormento. Per un po’ si continua a giocare, senza gente sulle tribune, poi tutto si ferma per più di tre mesi. Si riprenderà solamente a fine giugno: a giocare sì, ma non a tifare dal vivo. Negli stadi si chiudono inesorabilmente i cancelli. Ci si deve accontentare di guardare le partite da casa, davanti al televisore, e non è più la stessa cosa: non soltanto per un teenager ultrà della Nord, per nessuno. Perché in televisione le partite vengono viste, allo stadio vengono vissute, e c’è una bella differenza fra vedere e vivere. L’habitat naturale del calcio non è il salotto, con le pantofole ai piedi, il sacchetto delle patatine e la birra sul tavolino.

La partita, come Dio comanda, va vissuta allo stadio, ascoltandone i clamori, annusandone gli odori, sotto il cielo stellato come sotto la pioggia, schiaffeggiati dalle raffiche di vento, sventolando le sciarpe, issando gli striscioni istoriati dalla fervida fantasia dei tifosi, cantando i cori e gli inni, mangiando pane e salamella, abbracciandosi con l’amico del posto accanto. Tutte cose che ci vengono negate e nessuno sa per quanto ancora.

Un lungo castigo

Il castigo è più lungo di quanto si potesse immaginare, o comunque di quanto si sperasse. E si accompagna alle polemiche, perché circola anche l’ipotesi che proprio la serata di San Siro sia stata un potente «fattore» che ha alimentato il contagio: chissà se lo si saprà mai di preciso. O forse lo si saprà quando saranno finite le lunghissime inchieste su questa fase tragica della nostra vita.

Ma tutto può essere. Sta di fatto che l’embargo prosegue tuttora e non se ne intravede la fine in questo alternarsi schizofrenico di zone rosse, gialle, arancioni. Resta l’infinita piacevolezza del ricordo di quanto era stato bello andare all’Atalanta. E di quanto più lo sarebbe in questi tempi di grandi risultati a tinte nerazzurre. Ci pensate? Avremmo visto dal vivo il Liverpool, l’Ajax, il Psg, il Real Madrid, Klopp, Mbappé, Neymar, Zidane, Benzema. E gli ultrà della Nord si sarebbero goduti quegli spettacoli nella loro bella curva accogliente, che era stata da poco inaugurata: era accaduto domenica 6 ottobre nella vittoria per 3-1 sul Lecce con reti di Zapata, Gomez e Gosens. Dopodiché c’erano stati l’esagerato 7-1 sull’Udinese, il rutilante 5-0 sul Milan con cui s’era festeggiato il Natale, un altro straripante 5-0 col Parma a salutare l’anno nuovo, lo stiracchiato 3-2 col Verona. Certo, s’era ingoiata anche qualche delusione: l’1-2 con la Spal, il 2-2 col Genoa, lo 0-2 col Cagliari, l’1-3 con la Juventus, ma gioie e delusioni non sono forse le due facce della stessa medaglia? Le prime si festeggiano, le seconde si accettano. E il sipario era infine calato sul già ricordato 2-1 contro la Roma, ultima partita goduta dal vivo.

Milano, fine e inizio

Prima di quel periodo felice il popolo atalantino aveva conosciuto altre «case»: Reggio Emilia, Parma e quella Milano in cui tutto è finito e tutto è cominciato. È finito il calcio dal vivo, è cominciato quello filtrato dalla tecnologia: tv, computer, tablet o cellulare che sia. D’accordo, meglio di niente, ma non è la stessa cosa. Speriamo di svegliarci in fretta da questo brutto sogno, fratelli calciodipendenti, e di tornare quelli di prima.

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