L’intervista a Taibi sull’Atalanta
«Si rialzi con spirito da provinciale»

Milan e Atalanta, mai così vicine. Dai tempi in cui tra i pali c’era lui, le cose sono cambiate: Massimo Taibi ne è sicuro. «L’Atalanta ha alzato l’asticella: ora è di livello medio-alto, mentre il Milan non è più quello di qualche anno fa», spiega il doppio ex, che oggi fa il direttore sportivo alla Reggina e ripensa con affetto alle sue vecchie squadre.

Soprattutto all’Atalanta, alla quale riserva una sfilza di complimenti, tra ricordi dei tempi che furono, bei pensieri e qualche rimpianto. Taibi vede i nerazzurri ancora in alto e ha la ricetta per la ripartenza: «Se non avrà paura di comportarsi da provinciale, l’Atalanta si sbloccherà alla svelta».

Milan-Atalanta, oggi, è una partita tra due squadre in difficoltà.

«Non hanno iniziato benissimo, ma è presto. Di sicuro, alla vigilia, la partita è incerta come mai in passato».

Merito dell’Atalanta o demerito del Milan?

«Il Milan non è più ai livelli di un tempo, come del resto le altre big, Juve a parte. La vera differenza è nell’Atalanta, che è cresciuta, ha alzato l’asticella e ora non è più una provinciale, ma una squadra di livello medio-alto: si avvicina molto al Milan, i valori si sono assottigliati».

In cosa si nota il salto di qualità?

«Quando ero a Bergamo, tutti dicevano che non si poteva pretendere di fare punti su certi campi, mentre oggi questa squadra gioca per vincere dappertutto. Allora, sentivo sempre parlare del Malines: era un ricordo antico, perché le coppe europee erano una rarità. Oggi, l’Atalanta conquista l’Europa con continuità e non è un caso: è tra le prime 8-9 società in Italia».

Anche ai suoi tempi, fu tentato il salto: nel 2001, l’Atalanta spese molto e, con lei, arrivò Comandini per 30 miliardi.

«Comandini fu incredibilmente sopravvalutato: era un mediocre, in tutta la mia carriera è il giocatore che ricordo con meno piacere, anche a livello umano. Si pensava che potesse fare la differenza, invece il contributo lo diedero altri, da Doni a Rossini, molta gente che c’era già».

L’Europa può essere un obiettivo anche oggi?

«Non so se arriverà nelle prime sette, ma sicuramente l’Atalanta ha le potenzialità per riuscirci: se la giocherà con Lazio, Fiorentina e Samp».

Però è partita male.

«Il fatto che si parli di difficoltà alla quarta giornata significa che l’Atalanta è ormai ritenuta una grande: c’è il margine per disputare un altro buon campionato. Finora ha pagato l’inizio della stagione anticipato e la delusione europea: le fatiche fisiche e mentali pesano».

Come si riparte?

«L’Atalanta ha una dote: nonostante lo step compiuto, ha mantenuto l’umiltà della provinciale, da ogni punto di vista. Ora dovrà riuscire a puntare su questo aspetto anche in campo: quando non si vince per qualche tempo, l’obiettivo è portare a casa la pelle, sono utili anche i punti rosicchiati. In questo momento, l’Atalanta non deve vergognarsi di essere più provinciale, magari sacrificando il suo bel gioco».

In questo modo potrà fare punti a San Siro?

«Potrebbe servirle un atteggiamento più attendista. Essere polivalenti è un pregio: anche le squadre più forti sono capaci di calarsi in una realtà diversa, quando serve. Poi, una volta che si sarà sbloccata, l’Atalanta potrà tornare a puntare sulla qualità dei suoi giocatori».

Il Papu è sempre l’uomo chiave?

«Resta fondamentale. E con lui c’è Ilicic, un altro che sposta gli equilibri».

Da ex portiere, cosa ne pensa dell’alternanza tra i pali?

«Avere due ottimi portieri è sempre un bene: l’Atalanta, da questo punto di vista, è tranquilla, perché Berisha viene da due ottime stagioni e Gollini è cresciuto molto. L’importante è che la competizione non sia controproducente: tutto dipende da come i giocatori vivono questa situazione. La concorrenza tra i pali non mi ha mai convinto: è giusto che i giochi siano aperti, ma ci devono essere gerarchie».

Come vede il Milan?

«Con Leonardo e Maldini sta ritrovando un’identità: ho vissuto quell’ambiente e certe figure sono fondamentali. La società ha investito, ma ha bisogno di tempo: oggi può lottare per la Champions, ma per lo scudetto è presto».

L’ex atalantino Caldara sta trovando poco spazio.

«È un giocatore di grande prospettiva. Credo che Gattuso lo stia gestendo in maniera esemplare: è giovane e c’è il rischio di bruciarlo dopo una partita storta. Il tecnico è intelligente e lo vuole inserire gradualmente».

Le piace il Gattuso allenatore?

«Già quando giocava aveva nel dna le qualità del bravo tecnico: i suoi calciatori hanno un grande rapporto con lui. È l’uomo giusto per il Milan».

Che partita sarà quella di domenica?

«Mai così aperta: il Milan non dovrà fare l’errore di considerare l’Atalanta abbordabile, altrimenti si esporrà ai contropiedi nerazzurri. Avendo giocato in entrambe le squadre, spero, e credo, che finirà in parità».

Che ricordi le sono rimasti di Bergamo?

«Ho vissuto quattro anni bellissimi: ho in mente una città incredibile e l’attaccamento unico dei tifosi alla maglia. Tornassi indietro, cambierei un po’ i miei rapporti con l’esterno: ero istintivo, ci mettevo sempre la faccia e qualche volta ho sbagliato. Sul campo ho vissuto momenti esaltanti e altri meno belli, poi purtroppo me ne sono andato dopo una retrocessione. Quando sono tornato da avversario, con il Torino, sono stato accolto male e mi è dispiaciuto, perché il mio legame con l’Atalanta è forte».

Il ricordo più bello?

«Il 2-1 a San Siro con l’Inter, nel 2002: fu una partita eccezionale e sancì la mia ripartenza e il forte legame con l’ambiente, dopo un inizio negativo. Il più brutto riguarda una partita che non si è giocata, a Torino, quando morì il dottor Polini. Ero molto legato a lui, alla mattina facevamo colazione insieme perché ci svegliavamo presto: fu uno shock».

Tornerebbe all’Atalanta da dirigente?

«Ora c’è Sartori, che è un mostro sacro e ha altri ottant’anni di carriera davanti. Certo, se lui andasse al Real Madrid e chiamassero me, a Bergamo tornerei di corsa, perché saprei di trovare una società speciale e organizzata: lo era già ai miei tempi, ma ultimamente è cresciuta».

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