Buzzetti: «Virus, è già seconda ondata
Ma Bergamo ha imparato ad affrontarlo»

L’intervista. Roberto Buzzetti, epidemiologo, spiega a che punto è l’epidemia e invita a non abbassare la guardia. «Siamo ai livelli di maggio, ma i casi non sono paragonabili perché i pazienti vengono curati con più efficacia».

L’attenzione serve adesso. Proprio quando sembra tutto sotto controllo. Perché in provincia di Bergamo è davvero tutto sotto controllo. Lo dicono i dati settimanali e le voci dei medici in arrivo dagli ospedali. Che non hanno smesso di ricevere pazienti, ma riescono a curarli con più efficacia rispetto ai mesi scorsi. Roberto Buzzetti, medico e specialista in statistica, già direttore dell’Ufficio Epidemiologico dell’allora Asl di Bergamo, utilizza una metafora calzante per spiegare cosa è successo e cosa abbiamo imparato: «A marzo e aprile qui a Bergamo è scoppiato un vasto incendio. Adesso ci sono tanti piccoli fuochi che riusciamo subito a spegnere. Il sistema di sorveglianza è scattato e sta lavorando bene».

Cosa non ha funzionato nei mesi più drammatici?
«Purtroppo il virus è arrivato all’improvviso e la medicina di territorio non è riuscita a rispondere con efficacia. La prevenzione è saltata. Tutti sappiamo che ci sono stati problemi con i tamponi e che in quelle settimane venivano testati solo i pazienti in gravi condizioni. Anzi, a volte nemmeno loro. Per riprendere la metafora dell’incendio: invece che mandare i vigili del fuoco a spegnerlo, abbiamo potenziato il centro ustionati. Ospedali da campo e più letti nei reparti di rianimazioni servono, ci mancherebbe. Però l’epidemia va fermata dove nasce e dove si sviluppa. Adesso lo abbiamo imparato».

Fin da metà marzo lei ha creato un sistema che analizza tutti i dati dell’epidemia per spiegare in modo semplice a che punto siamo. Cosa dicono ora questi dati?
«A mio avviso quella che stiamo affrontando è già la seconda ondata, perché la curva si è abbassata in estate e ora sta risalendo un po’ ovunque in Italia. Dobbiamo capire quando sarà la cresta dell’onda. Di sicuro non avremo le conseguenze della prima ondata, per fortuna».

Quando si potrà avere un’idea più precisa sull’andamento?
«Il periodo decisivo coincide con l’inverno, quindi diciamo tra dicembre e gennaio. Ma già da novembre sarà importante monitorare i dati soprattutto quelli relativi alla riapertura delle scuole».

La Bergamasca ha affrontato per prima il virus.
«Sì, e abbiamo imparato tanto. I bergamaschi non la prendono alla leggera. Siamo tutti molto attenti. E dobbiamo continuare ad esserlo».

C’è qualche dato più preoccupante di altri?
«In Italia stanno risalendo i casi di persone in terapia intensiva. Non è una buona notizia, anche se i numeri non spiegano se si tratta di pazienti malati da tempo oppure di effettivi nuovi ingressi per Covid-19. In merito ai contagi, invece, possiamo dire di essere ai livelli di maggio. Ma non sono più casi paragonabili a tre mesi fa. È aumentata la sorveglianza e chi si ammala ora non è più considerato inguaribile. Anzi, il rischio è molto diminuito anche per i pazienti in età avanzata».

Quanto influirà l’arrivo del freddo?
«Il problema non è tanto il freddo. Il problema è che con il freddo chiudiamo le finestre e quindi impediamo all’aria di circolare. È un punto a cui tengo molto. Servirebbe un ricambio costante dell’aria all’interno di una stanza. Il massimo sarebbe un sistema di ricircolo che possa far cadere i droplet verso il basso. Purtroppo se apriamo le finestre e le chiudiamo per dieci minuti, in quei dieci minuti il rischio di contagio rimane».

Quindi continua a rimanere fondamentale la mascherina.
«Mascherina, distanziamento, lavaggio delle mani e ricircolo dell’aria».

Riaprirebbe gli stadi?
«Il rischio, allo stadio, non è dovuto alla semplice visione della partita. All’aperto, distanti e con mascherina, è più difficile contagiarsi. Il vero problema sono gli assembramenti in entrata e in uscita, sui mezzi di trasporto, le code ai tornelli. Mettiamo migliaia di persone in fila a un metro e mezzo di distanza? Dallo stadio dell’Atalanta arriveremmo in Val Seriana. Va considerato anche l’aspetto economico, stiamo parlando di una delle industrie più grandi del Paese. Però il rischio sanitario è importante».

È già possibile capire se l’apertura delle scuole ha influito sulla circolazione del virus?
«Credo che serva ancora qualche settimana per valutare i veri effetti. Sarà importante capire cosa succederà quando verranno accesi gli impianti di riscaldamento».

Anche perché le scuole ogni anno sono un ambiente adatto a qualsiasi tipo di virus influenzale.
«Tutti i virus quest’anno avranno vita dura. Con mascherina e distanziamento circolano con più difficoltà».

L’unica soluzione è attendere il vaccino?
«Senza dubbio il vaccino è l’arma più attesa. Ma bisogna capire quanto sarà efficace e la durata dell’immunizzazione. Fino ad allora, le misure di prevenzione restano regole da seguire con molta attenzione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA