Cardiologo orobico nello studio sul covid
L’infarto può essere un effetto secondario

Il legame evidenziato da una ricerca pubblicata sulla rivista prestigiosa «Circulation»: tra gli autori il bergamasco Maurizio Tespili.

Che contrarre l’infezione da Covid-19 fosse più rischioso per i pazienti affetti da patologie cardiovascolari si sapeva. Ora però, uno studio pubblicato pochi giorni fa sulla prestigiosa rivista internazionale «Circulation» - che vede tra gli autori il bergamasco Maurizio Tespili - ha evidenziato un altro legame importante tra cuore e Covid e cioè che l’infarto può essere un effetto secondario del Covid 19. Una intuizione che apre nuove prospettive e scenari nella prevenzione e cura dei pazienti Covid positivi, non solo di quelli con fattori di rischio cardiovascolari.

Il lavoro, dal titolo «St-Elevation myocardial infarction in patients with Covid-19: clinical and angiographic outcomes», riporta i dati di 28 pazienti con infarto miocardico acuto (Stemi) e Covid-19 trattati tra il 20 febbraio e il 30 marzo in 14 cardiologie lombarde. Abbiamo intervistato il dottor Tespili, coordinatore dell’area cardiologica degli Istituti ospedalieri bergamaschi e responsabile dell’Unità operativa di cardiologia dell’Istituto clinico Sant’Ambrogio di Milano (una delle strutture ospedaliere coinvolte nel progetto), per saperne di più.

Dottor Tespili, cosa è emerso, in particolare, da questo studio?

«L’86% dei pazienti non avevano ancora diagnosi di Covid -19 al momento dell’infarto, per cui quella cardiovascolare risultava essere la prima manifestazione clinica associata all’infezione virale (poi diagnosticata con certezza nei giorni seguenti causa insorgenza di sintomi più specifici dell’infezione). Inoltre, dei 28 pazienti, tutti sottoposti a coronarografia urgente, 11 (40% circa) non presentavano ostruzione coronarica evidenziando che la sofferenza cardiaca poteva risultare secondaria a uno stress dovuto all’infezione più che a una aterosclerosi complicata. Anche se si tratta di numeri molto limitati, le informazioni fornite dal gruppo di lavoro lombardo sono molto importanti in quanto sottolineano la possibilità di considerare una parte di quadri clinici infartuali come secondari all’infezione da nCov-2019». 

Che risvolti concreti può avere questo studio nella gestione dei pazienti affetti dal coronavirus?

«La prospettiva di considerare una parte di quadri clinici infartuali come secondari all’infezione da nCOV-2019 è di notevole importanza perché conferma la necessità di sviluppare dei percorsi diagnostico-terapeutici specifici per pazienti affetti da Covid-19 al fine di limitare i rischi sia per il paziente sia per gli operatori (esposti al rischio di contagio). In conclusione, possiamo dire che quest’articolo costituisce un ulteriore pezzo del puzzle nella complessa gestione dei pazienti affetti da Covid -19 e con fierezza possiamo evidenziare che i nostri medici contribuiscono sia in pratica sia attraverso la generazione di conoscenza, nella battaglia contro questo male che sta affliggendo la nostra nazione e il mondo intero». 

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