Cilcismo, Algeri: «Giro anomalo
Ma aiuterà l’Italia a ricominciare»

Pedala verso i settant’anni (li festeggia il 2 ottobre) ma lo spirito è ancora quello di un giovincello: è sufficiente seguirlo nell’attimo in cui un corridore mette piede a terra per foratura o guasto meccanico per osservare con quanta rapidità assiste lo sfortunato di turno.

Sì perché dopo 9 anni da professionista e 26 da direttore sportivo, dal 2010 è nel servizio di assistenza tecnica neutrale delle gare organizzate da Rcs, a partire dal Giro d’Italia.

Pietro Algeri è nel ciclismo da una vita. Approccio a 14 anni con gli esordienti del mitico Gruppo sportivo Torre de’ Roveri, la squadra del paese dove tutt’ora abita con la moglie Nazarena. È papà di Marco e di Matteo – quest’ultimo professionista per tre stagioni – e nonno di Arianna, 16 anni, promessa dell’atletica (argento tricolore di categoria sui 1.500 metri) e di Giorgio, 10 anni, che di bicicletta non ne vuole sapere e preferisce il calcio. E per chiudere il cerchio è fratello di Vittorio, classe 1953, che da professionista si è assicurato due titoli italiani (strada e pista) e un successo di tappa al Giro d’Italia, e ora è tecnico per l’australiana Mitchelton, nella sua sede italiana.

Tornando a Pietro, nella sua carriera ha vinto parecchio, soprattutto tra i dilettanti: Giro delle Tre Province, Circuito del Porto, il Trofeo Papà Cervi. Non va d’accordo con la salita e si indirizza alla pista, dove inizia il rapporto con la Nazionale azzurra destinato a protrarsi per dieci anni, partecipando ad altrettanti campionati del mondo e a un’Olimpiade, quella di Monaco di Baviera nel 1972. Si divide tra inseguimento a squadre e mezzofondo, «pilotato» dall’esperto Domenico De Lillo. Con il quartetto si porta a casa un argento mondiale (successo della Russia) ma due anni dopo conquista l’oro con Giorgio Morbiato, Luciano Borgognoni, Giacomo Bazzan. Nel mezzofondo il risultato di maggior prestigio è il bronzo al mondiale del 1977 a San Cristobal, in Venezuela.

Salito in ammiraglia, ha seguito Beppe Saronni, il russo Pavel Tonkov, Gilberto Simoni nei loro successi al Giro d’Italia, mancato di un nulla da un altro suo corridore, il bergamasco Flavio Giupponi.

Come tutti, anche Pietro ha sofferto il periodo dell’isolamento a causa dell’emergenza sanitaria per il coronavirus: «Non so che dire, se non manifestare rincrescimento alle tante persone che hanno perso la vita e stringere in un ideale abbraccio i loro familiari. Ne ha sofferto anche lo sport, ma a questo ci sono sempre rimedi».

Il calendario del ciclismo ne è uscito stravolto («sarebbe un successo riuscire davvero a partire in agosto») e le gare a tappe «vanno disputate, anche se non avranno il solito fascino. per noi il Giro d’Italia significa primavera, disputarlo a ottobre è anomalo. Ma tant’è: è importante riprendere il filo conduttore, come dopo le due sanguinose guerre mondiali. Il Paese ha bisogno, come allora, di riprendere anche il suo ritmo sportivo».

Perplessità invece sulla collocazione del Giro di Lombardia (l’ultima di ieri: 8 agosto): «Così anticipato perde la sua logica, stava a pennello il 31 ottobre come ipotizzato nella prima bozza di calendario. Il “Lombardia” è per tradizione la classica autunnale di chiusura».

In conclusione? «Procediamo a piccoli passi, importante è togliere il movimento dallo stallo in cui è venuto a trovarsi. Dopo essersi rimessi in carreggiata, tutto si sistemerà».

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