La dolcezza di una figlia e di chi l’ha custodita

di Alberto Ceresoli
L’EDITORIALE. Noemi, il nome più bello del mondo. Si dice che abbia origini ebraiche e vada ricondotto a «no’am» - che significa dolcezza, delizia, gioia -, ma la sua bellezza non sta nelle parole.

Sta nel gesto della mamma, che per darle un futuro dopo averla tenuta in grembo per nove mesi, l’ha affidata alla «culla per la vita», la sua salvezza. In tempi in cui, soltanto pochi giorni fa, a Milano, una neonata come la piccola Noemi è stata abbandonata, forse già morta, in un cassonetto della Caritas per la raccolta dei vestiti, l’atto di amore di una madre che non ha voluto sacrificare una parte viva di sé, consegnandola invece a chi se n’è preso cura fin da subito, è la cosa più grande e meravigliosa che potesse accadere. Struggente, come il biglietto che chi ha messo al mondo Noemi ha voluto lasciare dopo essersi sincerata che la sua piccola fosse già accudita dal personale della Croce Rossa.

«A casa solo io e lei (come in questi nove mesi) - scrive la giovane donna -. Non posso, ma le auguro tutto il bene e la felicità del mondo. Un bacio per sempre (dalla mamma). Vi affido un pezzo importante della mia vita, che sicuramente non dimenticherò mai». Cosa aggiungere d’altro a queste parole che, nei fatti, sanciscono la resa incondizionata di fronte alle enormi difficoltà di chi, ancora oggi, nel 2023, sceglie a tutti i costi la cultura della vita anziché quella della morte? Che società è quella che deve avere una culla per la vita nella speranza che chi si trova nelle condizioni della mamma di Noemi scelga questa strada anziché un cassonetto lungo la strada? Da tempo le mamme che non vogliono tenere con sé il proprio figlio lo possono lasciare in ospedale dopo averlo partorito, senza riconoscerlo e senza incorrere in alcun problema con la legge, nel totale anonimato e garantendo alla vita nascente tutto ciò di cui ha bisogno. Eppure la mamma di Noemi ha dovuto scegliere diversamente, vittima - perché la mamma di Noemi è una vittima - di una società che dà valore solo alla vita «bella», sana, nata in contesto ortodosso, disdegnando invece tutto ciò che è al di fuori del consueto bel quadretto familiare.

Una società che ancora oggi non si vergogna di definire «figli della colpa» quelli nati come la piccola Noemi. Ma un bimbo che viene al mondo non è mai una colpa, al contrario è un segno di infinita speranza per tutto il genere umano. E la mamma di Noemi non ha colpe, se non quella - forse - di aver riposto il suo amore in un uomo che di fronte alla prospettiva di diventare padre ha lasciato la compagna in balìa di sé stessa, in un mare denso di nera solitudine. La grafia di questa giovane donna diventata mamma troppo presto dà l’idea di una ragazza sensibile, istruita, ordinata, certo non priva di valori, che si è trovata ad affrontare da sola una cosa troppo grande per la sua giovane età e per le sue condizioni. Davvero nessuno si è accorto di cosa stava vivendo questa donna? Davvero la sua famiglia è riuscita a lasciarla sola in un momento così difficile? E i suoi amici, o presunti tali? Persino negli ultimi giorni della maternità, quando ormai il bel pancione di cui fanno orgogliosamente sfoggio le mamme è ben evidente, nessuno si è posto la domanda di come questa ragazza potesse fare tutto da sola? Il biglietto lascia credere che la mamma di Noemi abbia partorito in casa ieri mattina, aiutata, si spera, da un’amica che l’ha assistita alla bell’e meglio nel travaglio, ma nulla di più.

Possibile che tutto ciò sia avvenuto senza che nessuno abbia visto niente? Meglio credere che le cose siano andate realmente così, piuttosto che scoprire che qualcuno ha visto, ha capito, ma ha preferito volgere colpevolmente lo sguardo altrove. Ma la mamma di Noemi aveva già previsto tutto, e dopo aver lavato e sistemato la piccola, magari anche dopo aver provato la gioia di allattarla, l’ha messa in un bel pigiamino pulito e l’ha portata alla «culla». Certo avrebbe preferito posarla in quella che generalmente i genitori preparano accanto al loro letto, ma per lei non era evidentemente possibile, e allora ha scelto il meglio tra quello che aveva a disposizione. Che ne sarà adesso di lei? La legge le lascia dieci giorni di tempo per rivedere la propria scelta, poi la legge farà il suo corso e una volta dichiarata «adottabile», la piccola Noemi troverà un’altra «mamma» e un altro «papà» che si prenderanno cura di lei. Ci piace pensare, ci piace sperare, che questa bella storia - perché quella di Noemi è comunque una bella storia, anche se ingiusta, anche se profondamente triste - abbia un finale ancor più stupefacente di quanto è stato l’inizio. Se la mamma tornerà sui suoi passi, siamo certi che Bergamo saprà accoglierla con l’affetto e l’amore che merita. Lei e la «nostra» piccola Noemi.

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