Paghiamo il braccio
di ferro senza uscita

E adesso che succede? Semplice, adesso ci puniscono. Devono ancora decidere come: il dibattito è aperto. Ma di sicuro il 21 novembre, tanto per cominciare, la Commissione europea annuncerà l’avvio della procedura di infrazione a carico dell’Italia. E si parlerà di debito, non di deficit dal momento che il primo, al 131 per cento sul Pil è largamente fuori dagli accordi sul Fiscal Compact, mentre il secondo è, almeno nominalmente, al di sotto del limite massimo del 3 per cento. Nel caso di una procedura di questo tipo, all’Italia verrà chiesto di rientrare dal debito almeno 60 miliardi di euro ogni anno fino ad un massimo di 0,4 per cento sul Pil, a partire da gennaio 2019. Se così davvero fosse, sarebbe una cura da cavallo che nessuno sa se potremo mai riuscire a sopportare. Ma questa è una parte della punizione possibile.

Ieri, dopo che è stata resa nota la (prevedibile e prevista) risposta negativa del governo italiano alla bocciatura europea della manovra economica, si sono scatenati i falchi di tutta l’Unione. Ha cominciato il commissario Dombrovskis, gli sono andati velocemente dietro gli olandesi – i nostri tradizionali avversari, sin dai tempi dell’ingresso nell’euro – e gli austriaci che pure rappresentano un governo «sovranista» sulla carta alleato dei partiti al potere in Italia. Poi sono scattati i rappresentanti delle banche tedesche che hanno chiesto senza mezzi termini alla Bce di «lasciare che i mercati puniscano il governo populista di Roma». La logica è: colpire l’Italia per salvare l’Europa e l’eurozona prima che una situazione fuori controllo in un Paese fondatore dell’Unione che non ha certo la dimensione della Grecia contagi i partner e conduca tutti alla rovina. Il fronte del Sud parla a voce più bassa ma dice sostanzialmente la stessa cosa, e tutti insieme alla prossima riunione dell’Eurogruppo, prevista a inizio dicembre, hanno l’intenzione di mettere il ministro Tria con le spalle al muro. Nessuno di loro crede alle prospettive di crescita del Pil italiano secondo le stime del governo – 1,5% – e nessuno pensa che davvero in un solo anno si possano fare 18 miliardi di privatizzazioni, misura messa in tutta fretta nella lettera che il Tesoro ha mandato alla Commissione cercando di elencare misure che potessero rassicurare i nostri interlocutori sempre più tesi.

Questo è il quadro europeo al momento, senza un solo grammo di drammatizzazione in più. La situazione nuda e cruda è che adesso sull’Italia arriveranno le conseguenze di un braccio di ferro tra Roma e Bruxelles che ha pochi precedenti nel passato. Ciò che da una parte colpisce e dall’altra paradossalmente rassicura è la granitica tranquillità dei governanti del nostro Paese. «Non si sognino di mandarci letterine con multe e sanzioni» diceva ieri mattina Salvini alla radio, «perché da noi l’aria è cambiata». Quanto a olandesi e austriaci Di Maio faceva spallucce: «Sono mesi che chiedono le sanzioni contro di noi, tutto previsto». Che vuol dire? Che l’Italia non intende assoggettarsi alle procedure di infrazione? Sembra improbabile che si possa, anche giuridicamente, fare. Stando al presidente del Parlamento europeo Tajani, ormai il meccanismo avviato è ineludibile. A meno che Salvini e Di Maio non facciamo conto sul fatto che ormai si avvicinano le elezioni europee di maggio e che dunque la procedura, avviata a gennaio del prossimo anno, potrebbe essere subito vanificata dalla prossima Commissione, espressione di un equilibrio nuovo e del tutto alieno dalla linea di austerità e di controllo dei conti pubblici sin qui seguita dalle forze politiche continentali che hanno governato l’Unione, soprattutto i democristiani tedeschi con i loro alleati. È un calcolo politico che sicuramente si può fare ma che somiglia molto da vicino ad un azzardo.

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