«Con Gaber a Bergamo venivamo sempre con gioia»

L’INTERVISTA . Dal Bon, presidente della Fondazione dedicata al cantautore, e il regista Milani stasera al Conca Verde per il docufilm «Io, noi e Gaber».

«Con Gaber a Bergamo venivamo sempre con grande gioia in questo splendido, meraviglioso Teatro Donizetti ed era una tappa straordinaria perché si facevano dieci repliche. Da quando dal 1985 ho cominciato a lavorare con Gaber praticamente ogni tre anni avevamo uno spettacolo nuovo e ogni volta il Donizetti ci chiamava e per noi era una festa. Quando la casa di distribuzione Luky Red ci ha detto che ci sarebbe stata una proiezione a Bergamo siamo stati felicissimi, ma felicissimi veramente ci ha fatto molto piacere».

È veramente contentissimo Paolo dal Bon, presidente della Fondazione Gaber, della tappa bergamasca del piccolo tour in alcune città italiane che con il regista Riccardo Milani e Massimo Bernardini, uno dei protagonisti del film (e in video collegamento il giornalista Vincenzo Mollica), stanno compiendo per presentare il docufilm «Io, noi e Gaber», che viene proiettato questa sera (alle 20.45) al Cinema Conca Verde di Longuelo.

Presentate un lavoro che è abbastanza particolare a cominciare dal titolo «Io, noi e Gaber».

«Un titolo molto azzeccato che ha proposto il regista, Riccardo Milani. C’è un “io” perché ci sono tante testimonianze all’interno del docufilm però c’è anche un “noi” che emerge molto forte, di chi si riconosce nell’affetto e nella stima per Gaber e poi ovviamente c’è Gaber. Giorgio diceva sempre dopo una serata riuscita: “noi siamo stati bravi”. E noi gli rispondevamo: “no, sei stato tu bravo”. E lui invece insisteva dicendo: “no, noi, noi siamo stati bravi” ».

Nel corso della sua vita artistica Gaber è stato molte cose: è passato dalla televisione popolare del sabato sera al «teatro canzone». Che Gaber esce da questo lavoro?

«Un Gaber completo, nel senso che Ricardo Milani è stato veramente bravo a costruire il percorso di Giorgio in modo molto rigoroso sottolineando anche il fatto che il primo Gaber era un Gaber già “impegnato” nel senso che una delle prime trasmissioni che ha condotto, “Canzoniere minimo”, era una trasmissione che aveva Umberto Simonetta come co-autore e proponeva la canzone politica, quella dialettale. La canzone popolare, quindi, in qualche modo. L’inizio della sua carriera coincide certamente con il rock’n’ roll ma anche con questa dimensione del giovane artista intellettuale che si confronta con temi alti. Quindi Gaber ha cercato di portare avanti questa cosa, per esempio nel 1964 in prima serata televisiva esegue con cinque chitarristi amici, Jannacci, Toffolo, Otello Profazio, “Addio Lugano bella”. Poi, grazie a Mina prima, e a Paolo Grassi che era il direttore del Piccolo Teatro di Milano, inizia la sua carriera in teatro».

Chi oggi può aver raccolto la sua eredità? Cosa resta della sua storia?

«Gaber è un unicum, come unici sono stati Fabrizio de Andrè, Battisti. Come un unicum, che per fortuna è ancora in vita, è Guccini. Non sono figure replicabili, credo che Gaber sia ormai considerato a tutti gli effetti un classico della cultura italiana e quindi quello che noi cerchiamo di fare è dare l’opportunità soprattutto ai giovani di confrontarsi con questo enorme repertorio che Gaber ha lasciato, proprio come ci si può approcciare ad un classico della cultura. Questo film in qualche modo rappresenta forse il punto più alto di questo percorso ventennale».

Giorgio Gaber – ricorda dal canto suo il regista Riccardo Milani - è stato un uomo importante per la mia formazione. Sono nato nel 1958 ed ero un bambino quando Gaber cantava “Goganga”, “Torpedo blu”, “Il Riccardo”, canzoni leggere che però rimanevano nella testa. Poi crescendo ho seguito questo cantante che è diventato altro, un uomo di teatro che ha inventato un genere. Fin dagli inizi avevo apprezzato moltissimo il coraggio, una qualità importante che ti fa dire le cose anche quando sono scomode. Quello che più mi colpisce ancora oggi è la costante ricerca della verità, la libertà di pensiero: sono aspetti che mi porto dentro e da allora ho sempre cercato di portare nel mio lavoro, cercando di avere lucidità e di evitare posizioni ideologiche».

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