Cortometraggi, il David di Donatello
va al bergamasco Stefano Malchiodi

Il regista originario di Martinengo si aggiudica il prestigioso premio con «Anne». «Ancora non ci credo, bellissimo». La pellicola è stata resa animata, quasi pittorica, con la tecnica del rotoscopio. «Racconto di un bimbo che ha i ricordi di un’altra vita».

«Everything you will see happened for real». Tutto ciò che vedrete, in realtà, è accaduto. Inizia così «Anne», il cortometraggio girato dal regista bergamasco Stefano Malchiodi, insieme a Domenico Croce, e vincitore venerdì 26 marzo del Premio David di Donatello nella categoria Miglior Cortometraggio, con questa frase messa nero su bianco, quasi a voler rassicurare lo spettatore che la storia che vedrà nei successivi 15 minuti è reale, vera, non un sogno o il frutto di un’invenzione, come si potrebbe invece immaginare. E, probabilmente, «Everything you will see happened for real» è anche la frase che Stefano si sarà ripetuto continuamente negli ultimi due giorni, da quando ha scoperto di aver vinto il David di Donatello, fino al momento, ieri mattina, in cui la notizia anticipatagli dal Premio stesso è diventata ufficiale, vera, e non è rimasta solo un sogno della sua immaginazione.

L’incredulità, però, rimane. «Ancora non ho realizzato – commenta il ventinovenne originario di Martinengo che vive a Roma dal 2015 –. Pare assurdo perché non è un festival che si conosce solo tra addetti ai lavori. Il David lo conoscono tutti. Non mi è mai capitato niente di così assurdo e bello. In Italia nel mio settore è la cosa più grossa che puoi vincere». «Anne» si basa sulla storia vera di James Leininger, un bambino americano nato nel 1996 che, fin dai 2 anni di età, mostra di avere ricordi di una vita passata. E molti di questi ricordi incredibilmente combaciano con le vicende del pilota di aviazione James Huston II (realmente esistito quindi), morto durante la battaglia di Iwo Jima nel 1945.

«Questo bambino, che oggi è ormai un ragazzo – racconta – ha mostrato dei sintomi da stress post traumatico dall’età di 2 anni fino agli 8. Si svegliava urlando di notte, nessuno capiva cosa avesse, era appassionato all’inverosimile di aeroplani, conosceva i nomi delle componenti meccaniche degli stessi, ricordava episodi di guerra. Il padre mettendo insieme tutti gli elementi ha scoperto poi che tutto combaciava con la storia di James Huston II. Non ricordo come l’ho scoperta questa storia, ma so che mi è rimasta impressa nella mente e sentivo il bisogno di raccontarla». Il corto che ne è nato si sviluppa su due piani della realtà: uno che racconta del bambino e dei suoi genitori che cercano di capire cosa stia succedendo a loro figlio (creato con un girato realizzato da Malchiodi e Croce e poi rotoscopizzato, cioè reso animato, quasi pittorico con la tecnica del rotoscopio); mentre l’altro narra dei sogni e dei ricordi del piccolo, della sua vita precedente (realizzato con immagini di repertorio). Ed Anne, la sorella dell’aviatore, è il nodo narrativo e gancio tra le due realtà. Possiamo scegliere le storie che sentiamo ci muovono qualcosa dentro – spiega –, qualcosa che magari nemmeno sappiamo spiegare. E per me questa lo era. La cosa interessante, poi, è che non è un caso unico nel mondo. È un fenomeno molto particolare e difficile da studiare, una storia che mi ha affascinato perché parla di tante cose, del confine tra morte e vita, dei ricordi. E cosa è quel ragazzo? È il pilota morto? È il bambino?».

«Vincendo il David – conclude –, automaticamente accedi al Premio César, uno dei più importanti a livello internazionale per il settore e abbiamo anche accesso all’iscrizione agli Oscar. Quando mai mi ricapita?». Così, molto probabilmente, «Everything you will see happened for real» è la frase che Stefano si ripeterà continuamente ancora a lungo.

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