Eugenio Bennato al Druso: la piazza è piena di valori, torniamo a confrontarci

L’intervista Il cantautore il 7 aprile al «Druso» di Ranica con la sua band: suonerò diversi brani nuovi, compreso il singolo «W chi non conta niente».

È contento di ripartire Eugenio Bennato e di passare presto dalle nostre parti. Il 7 aprile suona al «Druso» di Ranica con la sua band (inizio ore 21.30; ingresso 25 euro). «Ho un bel ricordo di Bergamo e dintorni - racconta - Nel Capodanno del 2019 ho suonato in piazza, nel centro cittadino, ed è stato un grande successo, anche inatteso. Non mi aspettavo che la musica di un certo tipo venisse accolta con tanto entusiasmo dal pubblico bergamasco».

Sono passati 20 anni da quando ha fondato il movimento «Taranta Power» e 40 dall’inizio della carriera. Che bilancio fa?

«Quando pensai di fondare il movimento speravo che potesse avere un seguito, il risultato è stato lusinghiero oltre le aspettative. A livello di pubblico c’è stata una risposta straordinaria e siamo passati dalla nicchia a un seguito di massa. Oggi al Sud come al Nord ci sono tanti festival che promuovono la musica etnica italiana».

«I giovani sono più attenti a certe istanze, al tema dell’integrazione, della valorizzazione delle identità mediterranee. Ai miei concerti vedo ragazzini che suonano i loro strumenti a percussione»

Il movimento si è mosso di pari passo con l’affermazione della World Music nel mondo. È parte di una realtà che non conosce confini.

«I giovani sono più attenti a certe istanze, al tema dell’integrazione, della valorizzazione delle identità mediterranee. Ai miei concerti vedo ragazzini che, mentre sono sul palco, suonano i loro strumenti a percussione, i loro tamburelli. C’è un’intuizione importante da parte della nuova generazione: l’acquisizione della propria identità è un elemento fondamentale, tanto più in un mondo globalizzato in cui si rischia di perdersi nell’uniformità. La World Music in questo senso testimonia l’importanza di salvaguardare la diversità dei linguaggi e la possibilità di metterli a confronto o addirittura fonderli».

«Al di là della pandemia avverto per le generazioni prossime il rischio di un distanziamento che diventi abitudine all’isolamento, a starsene per i fatti propri, laddove la piazza è carica di valori»

Con suo fratello Edoardo, nei giorni della pandemia, ha scritto una canzone di speranza: «La realtà non può essere questa». Che riscontro avete avuto da qual pezzo?

«Nella primavera del 2020 si pensava di esserne quasi fuori, mentre ci stiamo ancora confrontando con i bollettini quotidiani. Facemmo quella canzone comunicando per via telematica. Edoardo scrisse la musica, io ci misi le parole. Abbiamo registrato a distanza. Volevamo affermare la necessità dell’incontro che proprio la pandemia ci ha fatto comprendere lasciandoci isolati a confrontarci attraverso la rete. Al di là della pandemia avverto per le generazioni prossime il rischio di un distanziamento che diventi abitudine all’isolamento, a starsene per i fatti propri, laddove la piazza è carica di valori a cominciare da quello dell’incontro tra persone. La piazza è fondamentale per l’umanità, per comunicare, ridere, piangere, confrontarsi guardandosi negli occhi».

Nei prossimi mesi esce il nuovo album, come sarà?

«Alcune delle ultime canzoni già le presenterò lì a Bergamo dal vivo. Nell’arco della mia carriera, ormai lunga, ho sempre fatto così, suonando le cose nuove, anche per provarne dal vivo l’effetto. Al “Druso” suonerò diversi brani nuovi, compreso il singolo “W chi non conta niente”. Un titolo estremo. La musica popolare che ho scelto da ragazzo, non con volontà intellettuale, semmai istintiva, estetica, mi ha colpito per la bellezza e per i contenuti. È una musica che ci porta a meditare sull’essenza degli ultimi della terra».

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