Gli Zen Circus a Bergamo: una festa con le canzoni sull’amicizia

L’intervista Il gruppo toscano il 24 giugno al NXT Station presenterà il nuovo album: «Sul palco con tante canzoni provenienti da anni e umori diversi, un melting pot di storie».

Il nuovo album degli Zen Circus ha un titolo forte: «Cari fottutissimi amici». È d’impatto almeno quanto quel detto popolare che fa: «Amici nemici, parenti serpenti» e via dicendo in rima! Andrea Appino e compagni lo presentano venerdì 24 giugno al «NXT Station» di Piazzale Alpini, in città (inizio ore 20.30; biglietti disponibili). In realtà il gruppo toscano all’amicizia ci crede davvero, tanto che l’album ha una dimensione collettiva, nasce dalla collaborazione con tanti amici artisti. «Amicizia è amore, tanto quanto lo è l’amore romantico nella sua accezione più arcaica», spiegano i tre amici Zen. «Facciamo un esempio più chiaro: l’amicizia che manda avanti noi tre zen da 20 e passa anni si chiama amicizia per convenzione ma è a tutti gli effetti una relazione d’amore e convivenza. La nostra amicizia è la più nobile e dolcissima forma di circonvenzione d’incapaci».

È la prima volta che collaborate così intensivamente con altri artisti, com’è andata? Da cosa nasce l’idea?

«Come sempre, dal caso: avevamo tre brani che volevano realizzare con altrettanti ospiti, la cosa ci è piaciuta, poi altri lockdown sono caduti sulla nostra vita di musicisti, ci siamo fatti prendere la mano e ci siamo ritrovati con un disco. Così, semplicemente».

Motta, Brunori, Ditonellapiaga, Luca Carboni, Fast Animals and Slow Kids, Claudio Santamaria. Il pop diventa un piatto collettivo? L’identità non vacilla?

«Nel nostro caso, dopo 25 anni passati a crearsi una identità molto forte e ben delineata, è davvero un piacere mescolarla con quella altrui per vedere che succede. D’altronde lo dice la parola stessa: Popular Music. E poi, l’ego talvolta annoia».

Nei testi affiorano tante osservazioni: sul gap generazionale, sui social che provano a cambiarci la vita. Le canzoni aiutano a farci capire, o lasciano sempre le cose come stanno?

«Le canzoni creano precedenti, pongono domande, immaginano scenari possibili e utopici. Sono gli esseri umani poi a coglierne o meno le possibilità. Aiutano, certo, ma spesso collaborano con il male, rendendolo più accettabile. Altre volte invece sono vere e proprie rivoluzioni, ma necessitano di strumenti per farne tesoro. Non sta certo a noi giudicare, ma osservarne la fenomenologia è quanto meno importante e doveroso».

Ad esempio, «L’amore è una dittatura», che è stato presentato a Sanremo del 2019, cosa ha comportato rispetto a quella che è stata, prima e dopo, la vostra interazione col pubblico?

«Praticamente non ha valso nessun cambiamento. Siamo andati a Sanremo con un brano che chiaramente non voleva competere in alcuna classifica, ma solo raccontare una storia e raccontare noi. È stato il regalo che ci siamo fatti per i 20 anni insieme, tutti coloro che hanno avuto tempo e voglia di conoscerci. A tutti diciamo benvenuti nella nostra famiglia disfunzionale».

Nel disco c’è una citazione del Vasco nazionale. È il segno di una riconciliazione o altro?

«Vasco è come la vita: male e bene, giusto e sbagliato, sporco e pulito. Non siamo veri e propri fan - ognuno di noi ha le sue idee a riguardo - ma su una cosa siamo concordi al 100%: Vasco in determinati anni ha cantato (e captato) il basso, dal basso, parlando la lingua del mondo vero. Ha raccontato la provincia italiana come era, e questo per molti è “male”. Per noi è solo giusto, nello spazio-tempo dove è successo e dove era giusto che accadesse. La provincia da una parte ha dato i natali a Cesare Pavese, dall’altra ai sassi dai cavalcavia».

Siete una delle realtà più interessanti del pop alternativo in Italia, ne sentite la responsabilità, o la musica è qualcosa che sgorga senza tanti discorsi?

«Nessuna responsabilità, anzi, molto probabilmente il contrario: sentiamo l’irresponsabilità di essere gli Zen».

Nell’ultimo disco c’è una sorta di avanzamento nel senso dell’eclettismo, dell’attraversamento degli stili. Dove vi sta portando la musica?

«Dove ci porterà il futuro non ci è ancora dato saperlo, la componente emotiva e casuale nel percorso del circo Zen è troppo forte per azzardare pronostici. L’eclettismo di questo disco invece è figlio della sua stessa natura, collaborativa, quindi “diversa” in ogni sua sfumatura».

Dopo la partenza del tour da Palermo, arrivate ora a Bergamo. Cosa si devono aspettare gli amici di qui?

«Si devono aspettare una festa, “la solita”, sempre meno scontata visti gli ultimi due anni. Tante canzoni, tutte insieme, provenienti da anni e umori diversi, un melting pot di storie per festeggiare il fatto che siamo tutti vivi nello stesso momento».

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