Il canto di Alda Merini, poetessa degli esclusi: Alessio Boni e Marcello Prayer aprono la Settimana della Cultura

L’INTERVISTA. Sabato 15 aprile alle 20,45 in Cattedrale la serata inaugurale della «Settimana» promossa dalla Diocesi con un’originale rilettura di una poesia di Alda Merini: «Un concertato folle, raro, insolito».

«Siamo due artigiani della parola», dice di sé e del collega e amico Marcello Prayer, Alessio Boni. I due attori saranno i protagonisti, con il «Canto degli esclusi», dedicato alla poesia di Ada Merini, della serata inaugurale della Settimana della Cultura promossa dalla Diocesi nell’ambito di Bergamo Brescia Capitale della cultura, stasera in Cattedrale (ore 20.45). Un’iniziativa, la Settimana della Cultura «nella città di tutti» che presenterà 220 eventi (gratuiti) in 7 giorni, sparsi sul territorio della diocesi: 83 visite guidate anche in notturna o in bici; 75 chiese che svelano tesori spesso sconosciuti, 53 concerti dal canto gregoriano alla musica etnica, dall’organo al jazz; 42 proposte che vedono i giovani protagonisti, tra laboratori, spettacoli, letture animate. Apriranno le proprie porte anche 5 monasteri di clausura e 10 istituti religiosi.

Alessio Boni, partiamo dal titolo: «Il Canto degli esclusi»...

«E’ tratto da una poesia di Alda, con Marcello cerchiamo sempre di estrapolare un piccolo verso dei poeti che affrontiamo. Lei era la poetessa dei disadattati, degli esclusi, dei bistrattati, una donna fuori dal comune che, con tutto quello che ha subito, vent’anni dentro e fuori i manicomi, dopo tutto questo, che è stata un ingiustizia, perché Alda Merini non era folle per niente, ne è uscita e ha convertito tutto questo dolore, tutte le costrizioni che aveva subito in energia creativa donando a tutti quanti noi versi e prosa in modo sublime, con il suo stile cristallino ma graffiante. Ecco, direi che sono questi due aggettivi i più adatti. Alda Merini non parla di cose staccate dall’essere umano, parla di lei, di me, di te, del rapporto con i figli, con l’amore, con il cuore, del rapporto con l’amicizia, con il credo, con la religione, con Dio e conoscendo il Nuovo Testamento pone delle domande ben precise a Dio, a Gesù, lei dice: Gesù ha sofferto, ma io forse ho sofferto più di lui quindi posso permettermi di stare alla stessa altezza di Gesù Cristo, ci parlo serenamente, perché devo fingere dei salamelecchi? In questo è davvero straordinaria, in due righe riesce a scrivere cose che appartengono a tutti noi, al quotidiano di tutti, non c’è bisogno di essere un intellettuale con Alda Merini».

Parli dello spettacolo come di «un concertato a due».

«Ogni serata è diversa dall’altra perché abbiamo fatto un lavoro corale: io e Marcello Prayer ci conosciamo da 30 anni, ci ascoltiamo e ci intercaliamo all’interno della stessa poesia, magari diamo solo la partenza, parto io e lui si accoda, poi riprendo io e così via. Tutte le volte ci ascoltiamo è così che diventa un concertato, “jazziamo”, insieme le parole come se mettesti un sassofonista e un pianista che si reinventano un brano, si “jazza” insieme sulla poetica di Alda».

Lo spettacolo è stato definito «Un concertato folle, raro, insolito».

«Noi siamo artigiani della parola, ed è anche simpatico che siano due uomini a farlo perché di solito la poesia di Alda la legge sempre una donna, ma è talmente pura la sua opera, è asessuata pur essendo colma di sensualità, credo e divinità in una prosa bella secca, graffiante. L’invito che la Curia ha fatto a me a Marcello ci ha fatto un piacere enorme proprio per l’apertura mentale che la contraddistingue».

Lo spettacolo «tratteggia i lati oscuri della coscienza, dei silenzi dei fantasmi che hanno abitato la mente di Alda Merini», ma alla fine non sono anche i nostri?

«Sì, c’è, per esempio, quell’aforisma che dice: “chi ama troppo i propri figli spesso li sacrifica al proprio io”, bisogna stare attenti ad amarli troppo perché si rischia di non lasciar liberi di fare le loro scelte, quante madri e padri italiani sono così? l’altro aforisma dice: “Mi sveglio sempre in forma ma mi deformo attraverso gli altri, sono gli altri che mi deformano, con la loro cupidigia, con il loro arrivismo, con la loro venalità, con l’arroganza, il cinismo e mi deformo”, quanto è vero? »

Cogliete anche una certa vena ironica che non sempre viene sottolineata.

«Colma di ironia, se no non sarebbe riuscita a scrivere quello che ha scritto, piena di autoironia, non è solo ironia, perché l’ironia possiamo averla anche noi, l’autoironia è difficilissima, prendere in giro gli altri è facile, prendersi in giro è più difficile, lei si prende in giro, si mette alla berlina, si mette alla gogna per prima, è questa la grande potenza di Ada Merini: “la pazza della porta accanto” è lei, si descrive come la vedono e la guardano gli altri e ci ride sopra ».

Sulla scena, tutto questo come si traduce?

«Due sgabelli, due leggii, il concertato è la voce, non c’è musica ma ci sono delle tracce sonore della voce di Alda Merini, “cantiamo” quattro o cinque poesie poi parte una di questa tracce, poi facciamo un altro blocco e parte una nuova traccia, la poesia diventa canto, poi parte un’altra traccia di Alda Merini che suona il pianoforte, è un inno a questa signora, che facciamo, come dicevo, molto artigianalmente, molto umilmente, è lei che deve uscire, non noi, noi siamo solo il tramite».

Perché vederlo?

«Perché non abbiamo mai il tempo di pensare a chi siamo, gente un po’ più curiosa fa meditazione, un po’ più tenace fa yoga, che non ce la fa, va in analisi. Non ci sono solo questi modi per cercarci, per capire chi siamo. Con la sofferenza che ha subito lei, la nostra fa ridere».

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