Il viaggiatore Marco Polo: il suo sguardo curioso parla ai giovani di oggi

L’EVENTO. A 700 anni dalla sua scomparsa Venezia gli dedica una mostra celebrativa a Palazzo Ducale. Fino al 20 settembre sono esposte 350 opere provenienti da musei e collezioni internazionali.

«Non ho scritto neppure metà delle cose che ho visto». E in questa frase c’è molto di Marco Polo, il grande viaggiatore. L’uomo capace di unire l’Occidente veneziano con un Oriente tutto da scoprire, così lontano ma così paradossalmente vicino, con il mondo bizantino lì, porta a porta con la Serenissima.

Dodici sale ricche di suggestioni

Venezia dedica a uno dei suoi figli più amati una mostra (imperdibile) a Palazzo Ducale, in occasione del 700 anni della morte, visitabile fino al 29 settembre e dal titolo emblematico: «I mondi (rigorosamente al plurale – ndr) di Marco Polo. Il viaggio di un mercante

veneziano nel Duecento». Emblematico ma paradossalmente non esaustivo, perché quello che nell’immaginario collettivo è diventato «il» viaggiatore per eccellenza è molto di più. Per usare le parole di Chiara Squarcina, curatrice della mostra insieme al vulcanico Giovanni Curatola (sinologo, islamista e tante altre cose) quel giovane veneziano «ha guardato per capire, ascoltato per comprendere e condividere. Non potevamo riassumere in 12 sale un viaggio di anni e anni, ma creare suggestioni sì». Soprattutto ai più giovani: «Questa non è una carrellata intellettuale, volevamo traghettare la volontà delle illusioni alle giovani generazioni». Quella dei low cost, col trolley sempre pronto in un tempo dove «se ogni parte del mondo ora è facilmente raggiungibile occorre sempre conservare lo stupore e l’invito alla conoscenza» sottolinea Mariacristina Gribaudi, presidente della Fondazione Muve, i musei civici veneziani. Quello che portò il giovane (aveva solo 17 anni) Marco nel 1271 a partire al seguito del padre Niccolò e dello zio Matteo verso l’Oriente e a fare ritorno a Venezia dopo 24 anni.

Origini e sembianze da indagare

Qualcosa di più di un semplice viaggio, una scoperta ( anzi ,tante) che non poteva che cominciare dalla laguna: «Venezia è da sempre contemporanea e sa dire tanto al mondo» rileva il sovrintende Fabrizio Magani che definisce la mostra come qualcosa che «sa

raccontare storia ma anche contemporaneità». Tanto più in questi tempi che «gli analisti definiscono da preconflitto mondiale: ecco, Marco Polo non sapeva il cinese ma sapeva spiegarsi». E tanto basterebbe, perché «la conoscenza reciproca della cultura ci permette di parlare di pace» aggiunge Tiziana Lippiello, rettrice dell’Università Ca’ Foscari. «Probabilmente Marco Polo era un foresto, anche se mi hanno detto di non dirlo» commenta Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia. In realtà la questione è ancora dibattuta e non trova risoluzione nemmeno nella mostra, così come quella delle sue sembianze: quelle effigiate sulle 1.000 lire di un tempo che fu sono basate «su un dipinto di iconografia e attribuzione entrambe assai dubbie» taglia corto Curatola nel catalogo. «Pare fosse originario di Curzola, isola della Dalmazia che era veneziana. Venezia era una città grande, e lo era perché includeva le persone e non le cacciava» sottolinea Brugnaro: «Una Repubblica dove libertà e rispetto erano i valori principali. Marco Polo è partito da qui a 17 anni per luoghi inesplorati, spinto dalla voglia di scoprire: perché non esiste nulla senza interesse, e anche per questo la mostra parla ai giovani, per far loro capire che il coraggio è fondamentale».

Il racconto in prigione

Anche nell’astenersi dal giudizio a prescindere, forti di una presunta superiorità culturale: «È’ partito leggero con lo zafferano, ma il suo non è mai stato un interesse solo commerciale» ricorda Squarcina. «Non ha mai parteggiato per alcun popolo, ha voluto solo raccontare cose

viste come le aveva viste e udite come le aveva udite». Anche se di fatto venne quasi costretto a farlo, in prigione a Genova: lui raccontava e Rustichello da Pisa scriveva. Entrambi fatti prigionieri in due battaglie delle Repubbliche Marinare. Da quel fitto dialogo in cella nasce «Il Milione», manoscritto che in realtà ha un titolo originariamente differente, «Devisement dou monde», e del quale esistono innumerevoli versioni e traduzioni (diverse esposte in mostra) da inizio 1300 in poi, ma non l’originale. Secondo Curatola nasce in primis come vademecum per un fratello mercante, «una sorta di Lonely Planet dei giorni nostri». Di certo la sua divulgazione nulla è stato più come prima. Lo prova il «mappamondo di Fra’ Mauro» del 1450 circa, in esposizione alla mostra: sui 3.000 luoghi citati ben 120 sono riconducibili a «Il Milione». Anche se l’autore non viene mai citato. Ma quella mappa conduce dritti in un viaggio «dove ci sono sangue, vita e racconti» evidenzia Curatola. Che parte con una ricostruzione in video della casa veneziana, prosegue con l’originale del testamento (con strali per chi non vi avesse ottemperato) dove, tra le altre cose, ridà la libertà al servo tartaro per poi condurre il visitatore in un viaggio durato 24 anni tra l’Armenia e l’Asia lungo le vie (pure questo rigorosamente al plurale) della seta, con uno sguardo sempre attento agli usi, ai costumi, al commercio (agli sghèi...) e lo stupore davanti alle diverse religioni «tutte mai giudicate ma viste con neutralità, come le culture».

Spiritualità complessa e raffinati costumi

Dai cristiani armeni ai fasti dell’islam (in esposizione c’è anche una miniatura che raffigura la nascita di Maometto), con uno sguardo da narratore: «Baldach (l’attuale Baghdad) è una città grande, nella quale era il califa, cioè il pontifice di tutti li Sarraceni, sì come è il papa de

tutti li Christiani» si legge ne «Il Milione» e nell’ingresso delle sale dedicate all’incontro con i musulmani. E ancora, l’impero multietnico e multireligioso mongolo, capace di far convivere gli «idolatri» (così li definiva) buddisti, taoisti, nestoriani, manichei e assimilare il confucianesimo, la complessità dell’India tra spiritualità ed esoterismo, la ricchezza e la raffinatezza dei costumi cinesi. Il celeste impero, come il colore delle stanze che accolgono questa sezione, ricca di testimonianze e contributi di importanti musei di tutto il mondo, in primis Shangai. «Cinquanta prestatori e 350 opere» sottolinea con precisione certosina Squarcina a sintetizzare un lungo viaggio tra storia, arte, cartografia e numismatica che non è mai finito. O forse è sempre e solo in divenire.

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