«Jannacci secondo noi», l’omaggio degli Arpioni in Piazza Vecchia

L’INTERVISTA. Martedì 25 aprile, in Piazza Vecchia, il gruppo presenta dal vivo in anteprima il nuovo album dedicato all’artista scomparso dieci anni fa.

A poco più di un anno da «Les Jeux Soint Faits!», gli Arpioni rendono omaggio a Enzo Jannacci, nel decennale della morte. Nell’arco di pochi mesi hanno registrato «Jannacci secondo noi. Rido e piango che non si sa mai». L’album ufficialmente esce il 3 giugno, nel giorno del compleanno dell’artista, ma anticipa i tempi e lo presenta dal vivo martedì 25 aprile in Città Alta (in Piazza Vecchia intorno alle 20).

Nel lungo cammino artistico degli Arpioni le canzoni di Jannacci hanno avuto un loro spazio; stavolta però il progetto è completo e riguarda uno scampolo importante del canzoniere jannacciano, quello che meglio si adattava alla rilettura in levare. «Abbiamo avuto in repertorio “Aveva un taxi nero”, l’abbiamo registrata su “Buona mista social ska” del 2001», racconta Stefano Kino Ferri. «Il disco dedicato è nato da una telefonata di qualche mese fa. Nell’autunno dello scorso anno ne ho parlato con Franco (ndr.: Scarpellini): come la vedi, la vedo bene. Ci siamo accordati in un attimo e subito ci siamo messi al lavoro. Da fan di Jannacci ne sentivamo la mancanza e la data ci è sembrata propizia per ricordarlo a modo nostro. L’idea del tributo era perfetta rispetto alla frequentazione che abbiamo sempre avuto del suo repertorio. Qualche cover l’abbiamo suonata dal vivo, ma nei viaggi, sul furgone, Enzo ci ha spesso accompagnato con le sue canzoni. Lo spirito goliardico, l’ironia surreale, la scelta di una certa umanità marginale, ci hanno visti compresi di un’arte popolare che a nostro modo condividiamo. In fondo, non troppo in fondo, ci sentiamo affini al Maestro, pur facendo tutt’altro».

Le canzoni di Jannacci seguono un doppio filone, quello divertente, giocoso, surreale, accanto a quello malinconico, amaro, sociale, quasi neorealista. Come vi siete regolati nella scelta del repertorio?

«Non ci siamo posti la questione di andare su un filone piuttosto che un altro, ci ha aiutato l’ammirazione che abbiamo per l’autore Jannacci. Anzi abbiamo colto l’occasione per affrontare anche brani che non fossero per forza di cose in levare. Nel disco ci sono anche episodi che non richiamano il nostro stile, e sono in perfetta sintonia con l’originale. Penso a “El me indiriss”, a “Il monumento”, una canzone feroce contro la guerra. Ci siamo sentiti pronti anche ad affrontare qualche pezzo che non fosse ska, non fosse ballereccio».

A favore della pace vi siete sempre schierati, anche con una canzone del disco precedente «Non vorrei fare la guerra».

«Sì, una canzone pacifista, poco pacifica, nel classico mood Arpioni. Ne “Il monumento” si stigmatizza la genesi della cattiveria umana. E dunque il pezzo andava suonato così come l’ha pensato Jannacci. Quanto a “El me indiriss” è una sorta di “My Way” milanese, una scheggia profondamente malinconica, venata d’ironia».

Ascoltando l’album si ha la sensazione che le affinità tra Enzo Jannacci e gli Arpioni siano più reali di quel che vuol essere l’omaggio, questo ricordo. È come se, attraverso le canzoni, riconosceste un legame forte, una sorta di «provenienza».

«La verità è che siamo un po’ figli di Jannacci», ribatte Franco Scarpellini. «L’impegno, il gusto per il popolare, l’ironia, vengono da lì. Jannacci ci ha aiutato a essere quello che siamo. Sia io che Kino siamo cresciuti nel rispetto delle sue canzoni. Per “Malacabeza” avevo scritto “Diciamo & diciamo”, jannacciana di suo».

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