La camera ardente per Philippe Daverio
Quel legame tra Bergamo e il critico d’arte

Il 10 settembre era invitato a Bariano. Nella mattinata di giovedì 3 settembre la camera ardente a Milano: sulla bara la Legion d’Onore francese.

Una cassa di legno bianco, con sopra un cuscino di rose rosse, accanto al feretro una corona di fiori bianchi del consolato generale di Francia: è stata aperta alle 9,30 di giovedì 3 settembre, nella Sala della Passione della Pinacoteca di Brera, la camera ardente per l’ultimo saluto a Philippe Daverio, storico dell’arte, docente, saggista, divulgatore televisivo ed ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, morto nella notte tra l’1 e il 2 settembre all’Istituto dei Tumori di Milano. Tra un mese avrebbe compiuto 71 anni.

Ad attendere il carro funebre molti giornalisti e alcune decine di persone che si sono subito messe in coda. Dopo pochi minuti è arrivata anche la vedova, Elena Gregorio che ha voluto sistemare sulla bara la decorazione della Legione d’onore francese. Appoggiati sul feretro anche un papillon, gli occhiali di Daverio e una rosa rossa. La camera ardente rimarrà aperta fino alle 18.30.

Nella giornata di mercoledì 2 settembre in molti hanno ricordato con stima e affetto il critico d’arte che era innamorato della nostra città. «Bergamo, con le sue valli e le sue vette, è un centro dall’animo storico profondamente cosmopolita: lombardo nel cuore ma veneziano d’adozione, e per di più crocevia montano fra l’Italia e il resto d’Europa» ha scritto nel suo «Grand Tour d’Italia a piccoli passi» uscito per Rizzoli un paio di anni fa, con tappe a Bergamo e Clusone.

Innumerevoli le sue visite, fra le quali spicca quella del 30 novembre 2016 quando, ospite del Rettore dell’Università Remo Morzenti Pellegrini tenne, una lectio su tema «L’Europa che vorremmo: quella della cultura», in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «La scomparsa di Philippe Daverio – afferma il rettore Morzenti Pellegrini – è motivo di grande sconforto per tutta la comunità accademica. Ricorderò sempre con profonda stima e gratitudine la sua lectio magistralis nella quale esortava gli studenti a essere rivoluzionari e prepararsi alle sfide del domani con l’immancabile energia che li contraddistingue. Come sottolineò nel suo discorso, emozionante e dotto, la responsabilità di noi accademici è quella di formare persone che possano sfruttare al meglio le proprie potenzialità, motivate dagli insegnamenti ricevuti. Allora le sue parole esaltarono il ruolo fondamentale dell’università nel tessuto sociale e mai come oggi, risuonano attuali».

Daverio aveva intrecciato amicizie con docenti, industriali, amministratori pubblici e religiosi. Gli archivi de «L’Eco» documentano le sue visite al museo Bernareggi e alla Carrara, a Romano con mons. Tarcisio Tironi, con Giovanni Cappelluzzo in occasione della candidatura delle Mura Venete a Patrimonio Unesco ecc. Né sono da dimenticare i suoi interventi per i 750 anni della Mia in Santa Maria Maggiore e sempre nella Basilica in occasione del ciclo «Molte fedi sotto lo stesso cielo». Altra circostanza che lo ha visto in città quella per il 150° di Italcementi al Teatro Sociale per la presentazione del libro «Faces and places». Fra una settimana, il 10 settembre, sarebbe dovuto intervenire al Convento dei Neveri a Bariano per presentare la pubblicazione «Brebemi, non solo autostrada. Strumento per incontrare città, paesi, cultura e arte», ma quelle strade non si potranno più incrociare.

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