Merisio, il cordoglio di Bergamo
«Grande fotografo e grande uomo»

Le istituzioni e il mondo della cultura ricordano il fotografo scomparso a 90 anni. Gori: «Un artista di statura internazionale, innamorato del suo territorio e dei bergamaschi». Gafforelli: «Un altro grande bergamasco che ci lascia».

Si intitolava «Guardami» l’ultima mostra antologica dedicata a Pepi Merisio, nel 2019 al Museo della fotografia Sestini – Museo delle Storie di Bergamo in Città Alta. Una sorta di «testamento poetico» a rileggere, oggi che Pepi non c’è più, le parole che scrisse in quell’occasione: «Il titolo di questa mostra – “Guardami” – l’ho voluto proprio io perché era la domanda che facevo ai miei soggetti al primo incontro. Ho sempre pensato, anzi sentito che la fotografia debba essere un colloquio e se non ci si guarda negli occhi è molto difficile capirsi. “Guardami”, la domanda che c’era nel mio obiettivo fotografico di fronte a un soggetto, uomo o cosa che fosse. E quando lo sguardo quasi faceva scattare da solo l’otturatore la tensione calava e avevo la sensazione di aver conquistato qualcosa di importante, di vero. Era quindi un discorso di sguardi. E il “guardami” valeva per tutti i soggetti, persino per i paesaggi, perché in tutte le situazioni c’è proprio il momento magico che quasi esige lo scatto». Sono in tanti oggi a sentire già la mancanza di Pepi Merisio, ben presente nell’immaginario collettivo come colui che ha saputo comporre per immagini l’elegia delle nostre radici.

Una benemerenza civica saltata

«Bergamo perde un artista di statura internazionale, innamorato del suo territorio e dei bergamaschi» – dice il sindaco Giorgio Gori. «Le sue fotografie hanno raccontato il nostro paesaggio, la vita delle comunità rurali e i cambiamenti che le hanno attraversate nel corso del Novecento. Bergamo voleva onorare il grande fotografo con la benemerenza civica che avevamo deciso di attribuirgli sul finire dello scorso anno, e che purtroppo non ho avuto la possibilità di consegnargli a causa delle limitazioni anti-Covid».

«Lo ricorderemo sempre – aggiunge l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti - non solo per le sue testimonianze fotografiche, ritratti veri del nostro tempo, ma anche per l’importante donazione, confluita nel Fondo Pepi Merisio del Museo delle Storie, da cui è nata nel 2019 la bella e visitatissima mostra “Guardami”. La città esprime gratitudine per la sua generosità, e per la cura e la passione con cui ha raccontato i nostri territori e la gente che li ha abitati».

«Un altro grande bergamasco che ci lascia in questo drammatico periodo» chiosa Gianfranco Gafforelli, presidente della Provincia di Bergamo.

Trabocca di gratitudine il ricordo di Roberta Frigeni, direttore del Museo delle Storie di Bergamo: «Non possiamo che ricordarlo con estremo affetto. Al museo lo consideriamo di casa, sia per la persona che è stata sia per il patrimonio che ci ha destinato con grande senso di lungimiranza. Inizialmente non aveva nascosto la sua diffidenza perché, diceva, “staccarmi dalle mie foto è come staccarmi da una parte di me”. Ma poi aveva dichiarato pubblicamente di essersi ricreduto. Il modo migliore con cui possiamo onorarlo è di trattare bene le sue fotografie, sulle quali stiamo facendo un grande lavoro. I suoi scatti sono già in buona parte disponibili sul nostro portale e ci impegneremo quotidianamente per completare la digitalizzazione, la catalogazione e la valorizzazione del suo archivio. Le foto del maestro di Caravaggio sono per il museo materia viva, strumenti di lettura di un’epoca».

«Ogni scatto è un’opera d’arte»

Una risorsa preziosa come il Fondo Merisio era approdata al museo grazie all’intervento di Roberto Sestini: «Ho conosciuto Merisio negli ultimi anni – sottolinea il presidente di Siad -, quando abbiamo avuto la possibilità di accogliere il suo sterminato archivio: migliaia di fotografie, ciascuna delle quali è una vera opera d’arte».

Piene di affetto anche le parole di Emilio Moreschi, grande amico di Pepi Merisio, oltre che amministratore delegato della Fondazione Bergamo nella Storia: «Bergamo ha perso un grande fotografo ma soprattutto un grande uomo. L’unica consolazione che ci resta sono le sue immagini del mondo. I valori di fondo e il contatto con l’uomo espressi nelle sue fotografie sono quelli che rimangono oggi più nascosti ma che ci consentiranno di continuare a vivere».

Un omaggio a Merisio arriva anche dal rettore dell’Università di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini: «Attendevo ogni anno il suo augurio di Natale, sempre accompagnato da una delle sue fotografie. E conservo gelosamente il ricordo della sua mostra al Chiostro di San Francesco, che ho avuto il privilegio di visitare con l’autore, che mi ha fatto scoprire la storia straordinaria nascosta dietro a ogni scatto. Pepi Merisio è stato ambasciatore del nostro territorio, raccontandone la storia, la dignità e l’identità. Di questo dobbiamo rendergli merito, come anche di aver segnato la storia della fotografia italiana».

«È stato un fotografo che ha segnato la cultura della città e che ha documentato la comunità bergamasca in tutte le sue sfaccettature»: con le parole di Cristina Rodeschini, direttore di Accademia Carrara, anche il mondo dell’arte rende omaggio all’opera di Pepi Merisio.

Alle sue immagini si era affidato nel 2015 anche il monastero di Astino per dare il via a un ciclo di mostre dedicato alla grande fotografia italiana: «Volevamo aprire con un maestro del nostro territorio, ma in realtà anche di livello nazionale ed europeo» ricorda il curatore Corrado Benigni- «Pepi aveva accettato con piacere perché era molto legato ad Astino, un luogo che spesso aveva fotografato. Dall’incontro era nata una mini-antologia, dal titolo “Custodire la presenza”, che voleva accomunare il lavoro di Pepi e il luogo di Astino come custodi di un’idea di civiltà». Sì, perché se tutti associamo immediatamente Merisio ai suoi volti, ai ritratti, alle immagini del lavoro, «in realtà è stato anche un grande fotografo di paesaggio», precisa Benigni, che di lui ricorderà sempre «il grande rigore, il forte senso del dovere, la moralità precisa, ma anche il fatto che fosse un uomo molto colto, aspetto non così comune tra i fotoreporter della sua generazione».

Antonio Carminati, direttore del Centro Studi Valle Imagna, ha in più occasioni lavorato fianco a fianco con Merisio: «Un grande tra i poeti dell’immagine, un amico dai solidi e concreti convincimenti, espressione di spicco della cultura bergamasca e straordinario ricercatore ed estimatore della dimensione umana. Abbiamo dato vita, insieme a lui e ad Alfonso Modonesi, alla collana di libri fotografici “Foto-impressioni” e abbiamo pubblicato diversi suoi libri». Un’ultimo volume era in cantiere e sarà pubblicato nel prossimo futuro: «Un libro sui cimiteri, che paradossalmente è un grande inno alla vita, perché i cimiteri ci parlano dei vivi: “Nel segno dell’Arcangelo” sarà il titolo, scelto proprio da Pepi».

Conserva nel cuore tanti ricordi speciali anche l’avvocato Ettore Tacchini: «Io sono un “merisiofilo”», dice. «Ho avuto la fortuna di poter colloquiare a lungo con Pepi prima che la sua salute peggiorasse, di recente gli ho portato le lenticchie di Castelluccio, di cui era goloso. Ci eravamo conosciuti quando Pepi lavorava con le Poligrafiche Bolis allo straordinario progetto editoriale “Terra di Bergamo”. Volendo realizzare delle fotografie aeree si rivolsero a mio padre, che era tra i fondatori dell’Aeroclub di Bergamo. Da allora ci ha legato una grande amicizia, spesso ci si trovava a parlare di fotografie e di viaggi. Pepi era un uomo di una umanità e una semplicità impagabili. Ha percorso migliaia di chilometri, perché le sue fotografie le scattava camminando, diventando testimone di un’Italia e di gente che non c’è più, di una civiltà che Pepi non ritrovava più nel mondo di oggi».

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