Tony Dallara, un libro e una mostra: «La musica evoca i colori»

A BERGAMO. Giovedì al Centro Culturale San Bartolomeo il cantante presenterà il suo volume sugli anni Sessanta e inaugurerà una personale: «La pittura è dentro di me, proprio come le canzoni».

«Tony Dallara 60» libro e mostra di opere pittoriche al Centro Culturale San Bartolomeo di Bergamo. Il cantante, inarrestabile artista, arriva in città il 1° febbraio per inaugurare una personale e presentare il libro che segue almeno in parte la sua lunga biografia di «urlatore» e pittore astrattista. La mostra sarà visitabile fino al 25 febbraio (10-12.30 e 16-19).

«Nel libro parlo degli anni Sessanta, i più belli di tutti», spiega Antonio Lardera in arte Tony Dallara. «Pittoricamente ero attratto dallo spazio, dalla luna, dall’astrattismo. A quel tempo sarei andato anche io a fare un giretto con gli astronauti. Una cosa bella rimane sempre astratta, esiste e non esiste al tempo stesso. Sono sempre stato interessato ai tanti esperimenti spaziali che facevano e continuano a fare, finché un giorno sarà possibile a tutti intraprendere un viaggio sulla luna». Tony Dallara, 87 anni, si è lasciato alle spalle un problema serio di salute. È tornato in tv a «Domenica In», ha cantato «Romantica», ha emozionato sino al pianto Mara Venier. Certe canzoni, come «Ti dirò» o «Come prima» fanno parte della colonna sonora di generazioni di italiani. Ma il signor Antonio, milanese d’adozione, ha dalla sua una doppia carriera, cantante popolare negli anni Cinquanta e Sessanta, pittore apprezzato anche dalle grandi firme dell’arte dei nostri giorni.

«Quando tornavo a casa la sera, mi fermavo sempre a guardare le vetrine di una galleria che esponeva quadri, anche importanti. Mi piacevano i colori, avevano qualcosa di magico. Brera era a un passo, ma figurati se potevo andarci. I miei avevano bisogno di aiuto. Ho fatto tanti mestieri, felice di farli».

Dallara è stato uno dei protagonisti del radicale cambiamento del modo di cantare, introducendo nella musica leggera il cosiddetto «urlo» dopo anni di melodie. Ha inventato uno stile che poi è stato ripreso da personaggi come Mina e Celentano. «Ho cominciato a cantare nel coro della chiesa. In oratorio giocavo a calcio. Mi piaceva fare il portiere, poi ho abbandonato. Don Cesare mi mandava sempre sull’altare a cantare con gli altri, anche se non sapevo una parola di latino, mi davo da fare sul finale delle frasi. Quelle sono state le mie prime rappresentazioni durante la Messa e nel piccolo teatro dell’oratorio. Poi sono arrivate le sale da ballo e ancora più avanti il locale “Santa Tecla”, dove ho conosciuto Celentano. Quando tornavo a casa la sera, mi fermavo sempre a guardare le vetrine di una galleria che esponeva quadri, anche importanti. Mi piacevano i colori, avevano qualcosa di magico. Brera era a un passo, ma figurati se potevo andarci. I miei avevano bisogno di aiuto. Ho fatto tanti mestieri, felice di farli».

Dallara racconta che colori e musica hanno qualcosa di affine e hanno sempre fatto parte della sua vita. «Non avevo soldi per diplomarmi, né studiare arte, ma per fortuna la pittura era innata in me. I colori mi appartenevano. Quando uno prende una nota alta evoca un rosso vivo, “amore mio” è un verde. Sono sempre stato vicino ai pittori moderni, Fontana compreso, e i pittori, anche quelli importanti, a un certo punto mi hanno accolto».

La sua storia

Le varie fasi della carriera di Tony Dallara attraversano la storia stessa del Paese. Vince il Festival di Sanremo del 1960, con «Romantica» in coppia con Rascel, lancia un modo di cantare che farà storia, dedica ad Anita Ekberg e al film «La dolce vita» di Fellini «Giaccio bollente», è protagonista di tanti «musicarelli». Diventa parte di un bagaglio culturale e popolare italiano. «Per me è una cosa grande, un onore. Gli inizi sono stati duri. Quando ho cominciato a cantare con il maestro Angelini le cose si sono messe meglio. Ci si esibiva tutte le sere, in un posto e nell’altro. Poi la carriera è decollata. Tutto quello che ho fatto l’ho affrontato per la famiglia. Volevo dei figli e una bella casa. È andata bene. Quando nel 1961 sono andato la prima volta in America Perry Como mi ha salutato come uno famoso. Le mie canzoni le hanno cantate un po’ tutti: da Como a Dean Martin. Tornare in televisione, davanti a tanta gente, mi ha fatto un enorme piacere. Ma non dimentico le serate fatte in giro. Quando tornavo a casa, sul tardi, passavo sempre al piano sotto, dove avevo lo studio. Facevo sempre un salto a vedere se i colori dei miei quadri si erano asciugati. La pittura è dentro di me, non mi sono mai chiesto la ragione di ciò. Le passioni nascono con un’impronta precisa, un segno, un colore».

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