Vecchioni a Stezzano, leggi l’intervista
«L’infinito è al di qua della siepe»

Domenica 2 dicembre Roberto Vecchioni presenta l’ultimo suo disco a Stezzano: è l’inno alla vita di un uomo maturo. Contro il pensiero dominante ha scelto «la resistenza culturale, un romanticismo spietato, la difesa delle parole».

«L’infinito» secondo Roberto Vecchioni è tutto in un disco, bello, denso, importante. Il professore lo presenta domani (alle 18.30) al MediaWorld del Centro Commerciale «Le due torri» di Stezzano e il 5 aprile dal vivo al Creberg Teatro di Bergamo. A dispetto della liquidità dei tempi Vecchioni ha scritto un disco vero, sullo stile dei concept album di una volta. «È la cosa primaria, ce l’avevo in testa da tanto tempo questa idea», spiega lui. «È una sorta di vendetta personale, un romanticismo spietato, una resistenza culturale».

Si tratta di non spezzettare l’esperienza d’ascolto delle persone di canzone in canzone e dunque chiedere più attenzione?
«L’intenzione era quella di dare al disco un corpo vero. Questo credo sia un album dichiaratamente “concept”. Gira attorno allo stesso tema. Ci tenevo fosse così. Dodici canzoni, altrettanti momenti dello stesso percorso: l’accorgimento probabilmente viene dalla vecchiaia, dalle tante esperienze vissute. Credo che la maturità sia un momento magico in cui si pensa che, in fin dei conti, la vita va vissuta completamente, anche nei momenti orribili: quelli difficili, dolorosi. Tanto vero che Leopardi che, peggio pessimista non si poteva trovare, è comunque al centro di questa vita».

Uno dei fiori all’occhiello del disco è il pezzo dedicato ad Alex Zanardi, «Ti insegnerò a volare (Alex)», con Francesco Guccini che canta con lei. Come ha fatto a convincerlo? Cosa è stato: il gesto di richiamarlo, la canzone, il peculiare momento?
«Direi un sacco di cose. Prima di tutto la mia convinzione, perché del disco ero convintissimo. Nella mia vita avrò fatto anche canzoni più belle, però questo è un album compatto, unitario, ottimista, direi felice. Il mio entusiasmo, quando sono andato a Pavana a farlo sentire a Francesco, era così forte che lui è rimasto contagiato. E poi credo che il Maestrone morisse dalla voglia di cantare, era in silenzio da sette anni. La spinta fondamentale l’ha data Raffaella, la moglie, una donna splendida, meravigliosa. Lei lo ha convinto a cantare. Io gli ho fatto scegliere il pezzo, ma sapevo che avrebbe cantato proprio quella canzone, perché somiglia alle sue. Una sorta di “Locomotiva”, quella del trenino che va a spaccarsi...».

Dopo tante domande, in questo album quantomeno ci si avvicina alla risposta. Cosa è cambiato?
«Nella canzone “L’infinito”, nell’ultima parte, si dice: inutile domandarsi dove sono le stelle, il cielo, bisogna attaccarsi alla vita, come fa la ginestra aggrappata al Vesuvio, per mandare in giro il suo profumo. La vita forse è insondabile, il suo significato è insondabile, e la risposta è in quella valigia della prima canzone: anche se non si sa bene com’è la vita che ti porti appresso bisogna viverla. La risposa alle tante domande è questa. In fondo il disco non ha domande, ha solo constatazioni, risposte».

Si passa dal narrare di una combattente curda a Papa Francesco, Zanardi, Giacomo Leopardi.
«Leopardi mi interessava tantissimo per il mutamento che ho dato al suo “infinito” che non è dall’altra parte della siepe, ma al di qua. Volevo scrivere questa cosa e la figura di Leopardi era centrale».

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