Marcolini: «All’AlbinoLeffe tutti vaccinati, è un’altra vittoria»

L’allenatore della squadra seriana ed ex atalantino Michele Marcolini: «Proteggiamoci e aiutiamo tutti a uscire dalla pandemia».

Lo sport, prima da calciatore e poi da allenatore, Michele Marcolini lo ha sempre vissuto da protagonista. E da professionista, sempre tra Serie A, B e C. Con un punto di contatto: Bergamo. Da «motorino instancabile» del centrocampo dell’Atalanta a metà anni Duemila, quindi nella veste di tecnico dell’AlbinoLeffe, richiamato la scorsa estate dopo una parentesi già positiva tre campionati fa. E con un punto di separazione negli ultimi due anni, per lui e per tutto lo sport: il Covid. Con le cicatrici lasciate dal blocco del primo lockdown. E dalle enormi difficoltà della prima ripartenza, il campionato scorso. Per situazioni davvero insolite da dover gestire, per far convivere la prosecuzione dell’attività sportiva ai colpi... in scivolata del virus. Che nella stagione in corso, per quanto riguarda lo sport e in più generale nella vita di tutti i giorni, come sottolinea Marcolini ha trovato invece una... «barriera» in più come quella della vaccinazione.

Marcolini, il suo momento più difficile vissuto durante la pandemia?

«Sicuramente il primo lockdown è stato un contraccolpo non indifferente, anche per tutte le grandi incertezze e paure di quel periodo per la salute nostra e dei nostri cari, in particolare per le persone più anziane e fragili. Ma nella mia esperienza personale ho vissuto forse in modo ancora più pesante l’inverno scorso, quando da sportivo e da allenatore ci si è imbattuti in una situazione senza precedenti, e davvero complicata e surreale. Ero stato chiamato ad allenare il Novara a inizio novembre 2020, quando la situazione del Covid stava tornando a peggiorare. Tutta la mia esperienza in Piemonte è stata in zona rossa. Anche in squadra ci sono stati via via alcuni casi positivi, fortunatamente senza serie ripercussioni sulla salute, che ci hanno spesso costretto a vivere nella cosiddetta “bolla” come gruppo squadra. Sono state settimane davvero complesse, difficoltà che in questo campionato sono diventate solamente un ricordo, grazie in particolare alla campagna di vaccinazione (in Serie C, fra atleti e staff delle prime squadre, il dato di soggetti vaccinati diramato dalla Lega Pro è del 98% ndr)».

Una stagione sportiva, quella attuale, finora decisamente più tranquilla. Quali le difficoltà di prima e quelle comunque di adesso?

«La mente era sempre indirizzata al Covid, si navigava a vista anche per preparare le partite. In quelle settimane al Novara, come da protocollo dal momento che si verificava un caso positivo tutto il gruppo squadra era chiamato a svolgere i test praticamente ogni 48 ore, e non solamente più quello di prassi alla vigilia della gara (nella nuova stagione il test “pre-partita” è rimasto obbligatorio solo per i soggetti non vaccinati/non guariti, ndr). C’era più preoccupazione per la salute, chiaramente. Oltre alle cose da pensare a livello professionale c’era ovviamente l’aspetto umano, ma la gestione sportiva è stata dura. Si viveva sempre sospesi in una cappa di incertezza e attesa. Fino all’ultimo non si sapeva con certezza i giocatori da poter convocare. Ed erano accaduti anche tanti rinvii alle soglie della gara, con enormi complicazioni soprattutto per le trasferte. Nella stagione in corso, quella che mi ha visto con grande gioia anche tornare nuovamente a Bergamo e da allenatore all’AlbinoLeffe, è stato tutto molto più tranquillo. Non solo per quanto ci riguarda, come AlbinoLeffe, ma in generale anche per il campionato di Serie C. Perché il numero casi dell’estate si erano abbassati, e anche perché nella nostra situazione tutta la squadra si era vaccinata. Si è comunque continuato a seguire con attenzione e scrupolo tutti i protocolli e le regole di prevenzione. Non si può davvero più tornare indietro, per questo ritengo che vaccinarsi sia un aspetto molto importante».

Lei ha scelto di vaccinarsi con convinzione?

«Credo che i dubbi siano umani. Ma sono altrettanto fermamente convinto che serva affidarsi alle autorità scientifiche e fidarsi di chi prende decisioni. Quando soprattutto i dati parlano in modo inequivocabile di una notevole riduzione di ricoveri negli ospedali e di morti dal momento che la campagna vaccinale è entrata nel vivo. Personalmente quando avevo preso la decisione di vaccinarmi ero sereno, in famiglia siamo tutti vaccinati, io, che farò presto anche la terza dose, mia moglie e i miei figli di 20 e 16 anni. Certo, quando da genitori si tratta di prendere la decisione verso i propri figli, quindi verso i minorenni, qualche problema grosso te lo poni, ti senti una responsabilità addosso incredibile anche se gli effetti collaterali sono rari. Però se ragionassimo tutti così, non lo farebbe nessuno e arriva il virus a crearci i problemi in un altro modo. E’ giusto pensare al proprio bene ma anche a quello della collettività».

Quanto siamo vicini a tornare alla normalità… o a una nuova normalità?

«Questa, vista chiaramente da non scienziato, sembra una epidemia che nessuno conosce a fondo, nonostante tante informazioni siano state acquisite dalla ricerca scientifica mentre altre conoscenze sono in divenire. Intanto il vaccino ha permesso di far rallentare la gravità della pandemia, gettando le basi per poter tornare il più presto possibile ad una vita quasi normale. Che è già una cosa fantastica».

Quanto l’ha segnata il periodo del Covid?

«In particolare durante il primo lockdown, forse tutti ci siamo sentiti fragili. Il blocco mi ha tolto, ci ha tolto tante cose. La socialità, la quotidianità che oramai tutto il mondo dava per scontata. Personalmente avevo cercato di vivermela al meglio possibile provando a godermi a pieno quelle cose, la famiglia su tutto, che gli impegni lavorativi spesso rendono difficile fare. Eravamo nella nostra casa di Verona con mia moglie e i miei figli Roberta di 20 anni e Diego di 16. Tra le mille cose negative, sotto un certo punto di vista il Covid ti ha dato qualcosa da riflettere, come ad esempio dare un peso diverso alle cose. Ci ha fatto comprendere che quando abbiamo delle cose belle, dobbiamo tenercele strette. E che dobbiamo viverle nel modo giusto, con consapevolezza, ma anche con grande soddisfazione e gioia. Sicuramente per i giovani è stato un periodo davvero tosto e dobbiamo assolutamente evitare un’altra possibilità che venga bloccato tutto. Per noi adulti sarebbe un’altra dura prova ma per i ragazzi sarebbe un ulteriore schiaffo a cui è difficile reagire. Loro hanno bisogno di vivere le esperienze che solo uscendo e vivendo sul serio si possono fare. Togliere ai giovani la possibilità di socializzare e fare esperienze nel mondo, di vivere le persone, è togliere una parte importante della loro crescita, tutti aspetti che il lockdown aveva chiaramente fermato».

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