Case di riposo, è allarme organici: «Nei prossimi 2 anni 300 operatori in pensione»

A lanciarlo Cesare Maffeis (Acrb): «È questo lo scenario che ci attende: nel Pnrr non c’è nulla sul fronte sociosanitario». Barbara Manzoni (San Giuseppe): «È necessario un intervento di rete»

Alle spalle c’è un anno e mezzo di difficoltà, ma le incertezze restano anche se si volge lo sguardo al futuro. Mentre le case di riposo – 65 in Bergamasca, circa 6 mila gli ospiti e altrettanti i lavoratori – sfidano la quotidianità garantendo un servizio essenziale e prezioso alla popolazione più fragile, restano irrisolti alcuni nodi: quello cronico degli organici, con circa 300 operatori che andranno in pensione nei prossimi due anni e che dovranno essere sostituiti, e quello «nuovo» di un Pnrr che pare aver tralasciato il settore. Il grido d’allarme arriva dalle realtà di rappresentanza. L’Associazione case di riposo bergamasche (Acrb, sigla che raggruppa circa trenta Rsa) ha tenuto venerdì ad Astino la propria assemblea annuale, mettendo al centro della riflessione anche il «Piano nazionale di ripresa e resilienza». «Nel Pnrr non c’è nulla per il mondo sociosanitario – è l’affondo di Cesare Maffeis, presidente dell’Acrb –: è focalizzato quasi interamente sul versante sanitario, questa è una visione miope anche alla luce di tutto ciò che s’è vissuto nell’ultimo anno e mezzo. Vero, a livello nazionale forse il nostro settore manca di capacità di rappresentanza e di interlocuzioni nei tavoli istituzionali, ma questa dovrebbe essere l’occasione per un’evoluzione». «Le Rsa sono fondamentali anche per gli ospedali in un’ottica di integrazione – rimarca Mirko Gaverini, vicepresidente dell’Acrb –, per questo le case di riposo andrebbero tutelate anche dal Pnrr».

Il tema delle carenze di organico – soprattutto di infermieri, ma si avvertono i primi segnali per medici e Asa, gli ausiliari socio-assistenziali – intreccia il quadro attuale con le prospettive a medio termine. «In questo momento mancano 150-180 operatori per sostituire chi è andato via nell’ultimo anno – stima Gaverini – e nei prossimi due anni si avvicineranno alla pensione 300 operatori». Che andranno sostituiti: «Il focus del Pnrr solo sugli ospedali, con risorse importantissime, renderebbe ancor più attrattivo quel comparto allargando la forbice con le Rsa», rileva Maffeis. L’Acrb sul tema è al lavoro però per formare nuove figure. «Cominceremo a metà ottobre due corsi gratuiti per formare Asa, a Casazza e Valbrembo, con 20 posti in ciascun percorso formativo – spiegano Maffeis e Gaverini –, corsi intensivi finalizzati all’inserimento».

«Personale carenza cronica»

Lo scenario è confermato da Barbara Manzoni, presidente dell’Associazione San Giuseppe che rappresenta una trentina di Rsa bergamasche d’ispirazione cattolica: «Nel Pnrr le Rsa non sono assolutamente considerate. Il Pnrr tra l’altro sollecita la presentazione di progetti, e questi progetti le case di riposo da sole non possono svilupparli. È necessario un intervento di rete, che coinvolga il sistema sanitario, i Comuni, gli Ambiti: in questo perimetro, le Rsa potrebbero dire la loro». Capitolo personale. «La carenza è cronica – rileva Barbara Manzoni –. Ed è un problema di sistema: occorre ripensare i posti in università per gli infermieri e rendere attrattiva la professione di Oss e Asa. Oggi lavorare in Rsa non è considerato affascinate, ma questo non è del tutto vero: sono ambienti importanti sia per la crescita professionale sia relazionale». Anche perché, rimarca Manzoni, le «Rsa stanno facendo un immane sforzo economico per allineare le retribuzioni. Si cerca di investire capitale economico anche se si soffre. Gli stipendi si sono allineati agli ospedali, col vantaggio che la qualità della vita di un operatore di Rsa è migliore». Urge però quel sostegno economico promesso da tempo. «Le provvidenze economiche legate alle minori entrate del 2020 a oggi non sono ancora state saldate, chiediamo alla Regione di mettersi una mano sul cuore – è l’appello di Manzoni –. I bilanci pesano, a maggior ragione perché le nostre Rsa sono no profit: non sono “fondi” che mettono capitali tesi al profitto. Noi lavoriamo sulla prossimità e sulla vicinanza alla persona: un aiuto economico è vitale».

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