«Qui a Calusco d’Adda ora è deserto
Siamo diventati una zona d’ombra»

Il reportage da Calusco. Silenzio «assordante» lungo la strada che porta al ponte. Gravi perdite per bar, negozi e piscina.

Se il fatto non fosse più che serio, da queste parti si potrebbe quasi pensare di girare un film, tanto è surreale il silenzio che domina qui. Soltanto il ronzio sordo delle turbine, giù in fondo alla valle, copre ogni rumore, compresi gli uccelletti sugli alberi.

«È un silenzio assordante. Pensare che qui ogni giorno passavano almeno 6-7 ambulanze. Ecco, quelle non mi mancano e nemmeno il caos e l’inquinamento delle ore di punta. Però ora si devono dare una mossa. Sennò tanta gente chiuderà». Leone Rocca è a curare l’orto che circonda la sua bella villa di via Monastero dei Verghi, nella contrada storica di Capora. La chiusura del ponte che collega a Paderno «ha portato un solo vantaggio: il silenzio», dice.

Per il resto, l’improvviso stop a treni, auto, tir e anche pedoni e ciclisti sul ponte ottocentesco ha cominciato a rivoluzionare la vita quotidiana di parecchie migliaia di persone. E Calusco comincia a soffrire della «sindrome da isolamento». Ciò almeno nell’area intorno al ponte in ferro. «Dalla Lidl in giù, verso il ponte – spiega un arrabbiato Flavio Ferrari, responsabile del locale “White coffee” –, su via Vittorio Emanuele ci sono almeno una quarantina di esercenti. Si guardi in giro – aggiunge mostrando il locale all’ora della merenda –: i pochi clienti presenti sono tutti di Calusco, ovviamente abbiamo perso tutti i pendolari del ponte».

E non è difficile immaginarlo, guardandosi intorno: deserta la strada che porta al ponte, poche auto parcheggiate nei piazzali della zona, il cartello con sopra scritto «Ponte chiuso» a sbarrare la corsia che vi conduce, «ma occorre far sapere che l’ultima parte della strada non è chiusa: noi ci siamo ancora!» aggiunge il barista.

Ferrari non va per il sottile e con lui i colleghi esercenti della via, che in queste ore si stanno organizzando per costituirsi in un Comitato. Duplice l’obiettivo: da un lato fare pressing sulla politica perché «si cominci a fare qualcosa – spiega Marco Adrenghi del Garden Center affacciato proprio sul ponte –: se è davvero un’emergenza, si facciano vedere e taglino almeno l’erba. È una presa in giro per un territorio che lavora». Lui di dipendenti ne ha 15 e «se è così, staranno a casa, cosa devo dire».

Il secondo obiettivo è promozionale: «Dobbiamo sensibilizzare almeno la gente del paese a venire un po’ da questa parte – aggiunge Samuele Gramolini, addetto vendita del Carrefour Express di via Vittorio Emanuele, dove qualche cliente brianzolo ha già salutato le commesse con dispiacere –, se no non ce la faremo. Sabato, il giorno delle grandi spese, abbiamo fatto il fatturato di un lunedì qualsiasi».

Per le attività della zona i problemi sono seri, a partire da quelli logistici di chi deve spostarsi per consegnare la merce o svolgere le proprie attività: i chilometri da percorrere per giungere al di là dell’Adda attraverso il ponte di Brivio si sono moltiplicati e con essi il tempo e i costi da mettere in preventivo. «Mio figlio vive da una parte del fiume e lavora dall’altra: sta pensando di vendere la casa» spiega Domenico Savasta che dopo aver scattato una foto al gigante di ferro aggiunge: «Lascino almeno passare la gente a piedi e in bicicletta: è il minimo. Ci si potrebbe organizzare arrivando in auto da un lato del ponte e proseguendo il viaggio in bicicletta, che so, oppure chiedendo ad amici o parenti di venirci a prendere al di là del fiume».

La proposta non è isolata: anche Alessandro Chiesa la lancia. «Già negli Anni Ottanta il ponte fu chiuso per un bel po’ – spiega nel cortile dell’oratorio –, ma almeno si poteva passare a piedi. Anche ora sarebbe una soluzione minima, ma che verrebbe incontro a tante persone».

Come ad esempio chi lavora al Molino Colombo. Ti affacci verso il fiume e lo vedi, imponente, quel casermone giallo che domina l’Adda sulla sponda brianzola. I tanti di Calusco che ci lavorano, lo hanno sempre raggiunto in un batter d’occhio, anche a piedi, ovviamente attraverso il ponte.

Ora qualcuno ne invoca uno di barche, tante barche da poter reggere il peso delle auto: «La strada a Villa d’Adda è già a senso unico in entrata e in uscita verso il fiume: si potrebbe fare», suggerisce sempre Chiesa, che in oratorio tiene il suo corso per imparare a suonare il baghèt, l’antica cornamusa bergamasca.

Tra le pesanti ripercussioni di questa chiusura, ce ne sono che impattano anche sulla scuola. «Un paio di ragazzi di Robbiate – spiega il curato di Calusco don Ivan Giupponi, che insegna religione alle medie – si sono ritirati e altri due sono incerti sul da farsi». La distanza tra i due paesi è di 3 chilometri, ma con la deviazione per il ponte di Brivio siamo sulla ventina. E alcune famiglie hanno deciso di ritirare i loro figli dalla scuola.

Parecchi studenti brianzoli, ma anche adulti, hanno anche deciso di non iscriversi più ai corsi che vengono organizzati alla piscina di Calusco, in via Adda. «Il 40% della nostra clientela è di Robbiate, Paderno, Verderio, Ronco Briantino – spiega Mauro Perico della società Blue Swim che gestisce la piscina e il vicino palazzetto –. Venerdì sera, appena appresa la notizia, abbiamo inviato la notizia della chiusura, via mail, a tutti i clienti, rassicurandoli di un’eventuale riorganizzazione dei corsi, soprattutto del fatto che gli abbonamenti già pagati saranno congelati, senza perdere denaro».

Ma il calo di clienti si è fatto vedere già sabato, soprattutto nel nuoto libero, ancora più marcato ieri. «Abbiamo subito notato anche le mancate iscrizioni ai corsi che di solito, storicamente, avvenivano con l’inizio della scuola» aggiunge Perico.

Un duro colpo per la trentina di persone tra istruttori, baristi e segreteri che lavorano in piscina: «Questa vicenda sta creando un danno economico densamente rilevante», mentre Flavio Ferrari dello «White coffee» tira le conclusioni: «Chiudere il ponte è stato un colpo molto basso, una vigliaccata: anni di non manutenzione per poi chiuderlo e lasciarci in una zona d’ombra».

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