«Donare cambia la vita per sempre, è stato un grande regalo anche per me»

LA STORIA. Davide Bortolotti, 24 anni, di Albino, racconta la sua esperienza come volontario per il trapianto di midollo.

Dalla sagra degli gnocchi ripieni della Perola di Albino alla donazione di midollo osseo la strada è stata breve per Davide Bortolotti, 24 anni di Albino, studente di chimica industriale all’Università di Milano. Grazie all’associazione «Federica Albergoni» ha potuto sperimentare che, come scrive Sergio Bambarén,«ogni volta che fai qualcosa per gli altri, pensando solo alla loro felicità, ti senti meglio; e questo alla fine ti riempie il cuore di gioia. È un’esperienza che ti può cambiare la vita per sempre».

Davide ha sentito parlare per la prima volta della donazione di midollo osseo quando era ancora un bambino: «Una compagna di classe della scuola primaria di mio fratello aveva la leucemia - racconta -. Aveva solo sette o otto anni, ma la sua vita era in pericolo, una situazione che ci sembrava inconcepibile. Ne avevamo parlato molto in famiglia, preoccupati e colpiti dalla sua condizione. Poi fortunatamente aveva trovato un donatore e grazie al trapianto di midollo era guarita. Questa risoluzione positiva mi ha lasciato un segno nel cuore, quasi come una promessa. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto, un giorno, poter compiere un’azione così bella per aiutare qualcuno».

Dal 2010 ad Albino era sempre presente nelle feste e ricorrenze del paese l’unità mobile per la tipizzazione dei possibili donatori di midollo osseo dell’associazione «Federica Albergoni», nata in ricordo di una giovane stroncata da una forma fulminante di leucemia nel 2009, fondata e guidata dal padre Maurizio.

«Così una sera - prosegue Davide -, mentre ero alla sagra degli gnocchi per cenare con alcuni amici, ho visto i volontari dell’associazione con l’unità mobile e ho deciso che era arrivata l’occasione giusta per farmi avanti. Mi sono avvicinato e mi sono sottoposto al prelievo necessario per iscriversi al registro dei donatori. Nella stessa sera si è “tipizzato” anche uno dei miei amici. Ho sempre avuto paura degli aghi, ma ho pensato che nel caso della donazione mi sarebbe stato richiesto uno sforzo straordinario in una singola occasione, e che quindi non sarebbe stato un problema».

Studente lavoratore e volontario

La prospettiva che si verificasse una compatibilità gli sembrava comunque remota: «So che tra persone non consanguinee è un caso molto raro, pari a uno ogni centomila, perciò non credevo che capitasse proprio a me».

Sono passati alcuni mesi, Davide è andato avanti con la sua vita, seguendo i ritmi abituali: le lezioni in facoltà a Milano per la laurea magistrale, ormai vicina, e il lavoro in pizzeria per quattro giorni alla settimana. «Non è stato semplice frequentare l’università da pendolare fra Albino e Milano, e affiancare a questo impegno anche il lavoro. I viaggi sono lunghi, non sempre si trova posto per sedersi, usare il tempo degli spostamenti per studiare è faticoso anche se sotto esame si fa comunque. Ormai però mi mancano solo due esami, e sto già preparando la tesi, perciò sono quasi alla fine».

L’idea di rendersi utile al prossimo svolgendo attività di volontariato negli anni si è concretizzata in modi diversi: «Per un po’ ho collaborato con il bar della cooperativa sociale Gherim a Nembro, che offre prodotti del Commercio Equo e Solidale. Un impegno che poi ho dovuto lasciare, perché non riuscivo a conciliarlo con studio e lavoro».

Da tempo collabora con l’associazione Libera Bergamo, che si occupa di promuovere i diritti di cittadinanza, la cultura della legalità democratica e la giustizia sociale; valorizzare la memoria delle vittime di mafie; contrastare il dominio mafioso del territorio. «Mi sono avvicinato a questa realtà per caso, grazie a un’amica - spiega - e poi mi sono appassionato. Mi dedico soprattutto alla sensibilizzazione sui temi sociali promossi dall’associazione e alle attività educative con gli studenti delle scuole».

«Che ansia dopo la telefonata»

Dopo quella sera alla sagra di Albino, per un po’ Davide si è scordato di essere diventato un potenziale donatore di midollo. Poi nell’autunno scorso è arrivata la convocazione: «Quando ho ricevuto la telefonata dall’Ospedale Papa Giovanni sono rimasto un po’ sorpreso. Ero in ansia per le analisi che i medici avrebbero dovuto eseguire nella fase preliminare, per valutare il mio stato di salute e l’effettiva compatibilità con il ricevente. Ho scoperto che anche la mamma della mia fidanzata era stata chiamata ma poi non era risultata pienamente compatibile, e che la stessa cosa era accaduta anche a un mio collega. Ero comunque contento, perché mi veniva offerta la possibilità di dare una mano a qualcuno che si trovava in una situazione difficile, com’era accaduto all’amica di mio fratello quando eravamo bambini. Quando c’è la necessità di un trapianto in prima battuta vengono valutati i familiari, se si deve ricorrere a un donatore esterno vuol dire che non esiste questa possibilità».

Davide è stato quindi accuratamente visitato: «Erano molte le analisi da fare: oltre al controllo dei valori ematici, diverse visite, ecografie e radiografie. Un check up completo, perché i medici vogliono essere sicuri della buona salute del donatore. Mi hanno spiegato che tutto il processo si sarebbe fermato se avessero scoperto l’esistenza di qualche controindicazione». Gli hanno anche spiegato che avrebbe potuto cambiare idea e ritirarsi, anche se Davide è sempre stato certo di voler arrivare fino in fondo: «Mi è sembrato comunque corretto che venisse offerta questa possibilità, una garanzia che non c’era alcuna pressione, mi ha fatto sentire tranquillo e sicuro».

«Ero solo un po’ affaticato»

I controlli hanno richiesto un po’ di tempo: «Siamo riusciti a concentrare gli appuntamenti in una giornata, in modo da conciliare i controlli con i miei impegni di studio e lavoro. Questo percorso di sorveglianza medica non è finito: prosegue infatti anche dopo la donazione, per controllare per esempio le condizioni della milza, un organo sottoposto a stress per la somministrazione dei farmaci che stimolano la crescita delle cellule staminali nel sangue».

La famiglia di Davide lo ha sostenuto lungo tutto il percorso: «Hanno approvato fin dall’inizio la mia scelta, anche se c’è stata una minima, comprensibile preoccupazione».

I disagi causati dalla donazione di midollo sono stati molto limitati: «La parte più fastidiosa è stata la somministrazione del fattore di crescita che serve per moltiplicare le cellule staminali. Normalmente infatti si trovano nel sangue in una bassa concentrazione. Il farmaco somministrato prima della donazione fa invece in modo che aumentino in modo rapido. Queste cellule crescono nelle ossa, per questo una crescita veloce può causare un po’ di dolore e di stanchezza. Può venire un po’ di febbre, e ci si sente spossati come per un’influenza, ma è un disagio lieve».

Nel giorno della donazione Davide è andato in ospedale accompagnato dalla fidanzata Cristiana: «I medici mi avevano avvertito che non avrei potuto tornare a casa da solo, anche se la donazione è stata fatta per aferesi, un prelievo di sangue periferico, quindi nel modo meno invasivo». Vengono usati dei separatori cellulari: il sangue prelevato da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene reinfuso nel braccio opposto.

«Ho dovuto fare la donazione in due momenti: il primo giorno sono rimasto per cinque ore in ospedale. Poi i medici mi hanno chiesto di tornare anche il giorno successivo, perché la raccolta di cellule staminali non era sufficiente. Ma sono bastate un paio d’ore supplementari. Ogni tanto passavano i medici per scambiare due chiacchiere e controllare che andasse tutto bene. Alla fine mi sentivo solo un po’ affaticato, come dopo un lungo allenamento».

La regola dell’anonimato

Ora che è trascorso qualche mese, Davide ha recuperato le forze e il bilancio di questa esperienza è positivo: «Mi ha lasciato un bel ricordo, anche se non ho saputo nulla della persona che ha ricevuto il midollo. La donazione, infatti, viene fatta in modo anonimo. Spero che con il trapianto possa guarire, sono davvero felice di averle potuto dare una possibilità. È stato un regalo per lei ma anche per me». Il trapianto di midollo, infatti, può essere l’unica opzione terapeutica per salvare pazienti colpiti da talassemie, leucemie, linfomi, mielomi e, in alcuni casi, tumori solidi e malattie autoimmuni.

A Davide gli amici hanno chiesto un racconto dettagliato: «Erano molto curiosi, mi hanno fatto un sacco di domande. Erano stupiti dal fatto che non sapessi l’esito della donazione, se era andata a buon fine oppure no. Non so se ho aiutato una persona giovane o vecchia, italiana o straniera. La regola dell’anonimato è una forma di protezione sia per chi dona il midollo, sia per chi lo riceve. So che il ricevente potrebbe scrivermi un messaggio, recapitandolo attraverso i medici dell’ospedale. Forse un giorno riceverò un biglietto e avrò notizie, mi farebbe molto piacere».

Qualcuno degli amici ha già seguito l’esempio di Davide: «Sono stati invogliati dal mio racconto a sottoporsi alla tipizzazione. È importante sapere che esiste questa possibilità, molti non ne sono a conoscenza e non ci pensano, magari avrebbero la possibilità di salvare una vita. Dopo tutto ho rivalutato anche la donazione di sangue, devo aspettare un po’ di tempo dopo la donazione di midollo osseo, ma questa bella avventura mi ha fatto passare la paura degli aghi. Di sicuro questa esperienza ha cambiato il mio sguardo sulla vita, facendomi apprezzare l’importanza del volontariato e la bellezza di dedicare tempo ed energie per aiutare gli altri».

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