«Donare il midollo cambia due vite: vi spiego perché vale la pena farlo»

LA STORIA. Nicolò Sironi è volontario della «Mitica», la nazionale dei donatori e dei ragazzi guariti dalla leucemia.

«Non smettere mai di sognare, solo chi sogna può volare». La frase è di Peter Pan, ma per Nicolò Sironi, 22 anni, di Rovetta, non è solo una fantasia, ma un augurio affidato a un destinatario sconosciuto, la persona che ha ricevuto il suo midollo osseo. Un messaggio in bottiglia lanciato nel mare dell’incertezza, un auspicio sincero di serenità e guarigione, con un frammento del suo cuore. Difficile sapere se sia arrivato, se alla fine abbia portato le notizie sperate. Un gesto che, in qualunque caso, ha un grandissimo valore. Come scrive Emily Dickinson, «se posso impedire a un cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano».

L’esempio in famiglia

L’idea della donazione ha radici profonde nella storia di Nicolò, è cresciuta nel tempo, nelle parole e idee scambiate in casa, in particolare con la madre Egizia Marinoni, il padre Mauro e con lo zio, medico agli Spedali Civili di Brescia, iscritto al registro nazionale dei donatori di midollo osseo e donatore di sangue di lungo corso. A volte i gesti più grandi nascono da dettagli minuscoli: una frase detta a tavola, una storia ascoltata per caso. Nicolò si è fermato a osservare con curiosità le medaglie ricevute dallo zio per le donazioni Avis. Come piccole costellazioni gli hanno indicato la strada, insegnandogli che la generosità può diventare abitudine, e in questo modo, silenziosamente, può salvare vite.

Poco dopo aver compiuto diciotto anni, Nicolò ha preso appuntamento al Centro Donatori di Midollo Osseo dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: «Basta un prelievo di sangue per eseguire la tipizzazione e iscriversi al Registro nazionale dei donatori di midollo osseo. L’ho fatto con fiducia e anche con un po’ di leggerezza. Mio zio, iscritto da oltre trent’anni, non ha mai avuto l’occasione di donare. Mi hanno spiegato che la compatibilità tra individui non consanguinei è molto rara, pari a uno ogni centomila. Così dopo il prelievo credevo che forse non mi avrebbero mai chiamato».

«Mio zio, iscritto da oltre trent’anni, non ha mai avuto l’occasione di donare. Mi hanno spiegato che la compatibilità tra individui non consanguinei è molto rara, pari a uno ogni centomila. Così dopo il prelievo credevo che forse non mi avrebbero mai chiamato»

La convocazione

Non è stato così: poco più di un anno dopo, l’ospedale lo ha convocato una prima volta, perché un paziente aveva bisogno, e Nicolò poteva essere compatibile. Ha affrontato con molta trepidazione tutta la trafila di analisi, attesa e speranza. Alla fine, però, il risultato non è stato quello che si augurava: la compatibilità non era abbastanza alta, ed è stato preferito un altro donatore. Dopo questa avventura, ha pensato che le sue possibilità si fossero esaurite: «Pazienza, figurati se mi chiamano ancora. Ho accantonato il pensiero, anche se mi dispiaceva molto, convinto che non avrei avuto una seconda possibilità».

Quando meno se l’aspettava, invece, l’ospedale l’ha richiamato. «Stavolta sono stato più prudente, sapevo che l’esito degli esami non era scontato. Ho seguito tutto il percorso, un passo alla volta, sempre con la sorpresa di essere richiamato per proseguire». Alla fine la compatibilità era alta, al 95-96%, così i medici lo hanno scelto. «Durante ogni visita i medici mi chiedevano se fossi ancora intenzionato a continuare, e questo un po’ mi spiazzava, non capivo il motivo di queste domande insistenti. Mi hanno spiegato che a volte qualcuno si tira indietro, e più si procede nel percorso e più questo diventa rischioso per il ricevente. Comunque io ho sempre confermato la mia disponibilità, perché ho iniziato questa esperienza con la volontà di portarla fino in fondo, senza farmi spaventare da eventuali difficoltà».

«La vera consapevolezza è arrivata di colpo entrando in sala operatoria. Fino al giorno prima ero sereno, avevo dormito bene, senza ansia. Ma sdraiarmi sulla barella, vedere scorrere le luci del corridoio, mi ha fatto capire all’improvviso che stava succedendo davvero qualcosa di importante. In quel momento ho sentito una grande emozione»

Non ha avuto esitazioni neppure quando, al momento di programmare la donazione, i medici gli hanno proposto il metodo più tradizionale e oggi meno usato: il prelievo dalle ossa del bacino, in anestesia totale. Più invasivo rispetto al prelievo dal sangue periferico, preferito oggi in otto casi su dieci, ma lui non se n’è preoccupato.

In sala operatoria

«La vera consapevolezza è arrivata di colpo entrando in sala operatoria. Fino al giorno prima ero sereno, avevo dormito bene, senza ansia. Ma sdraiarmi sulla barella, vedere scorrere le luci del corridoio, mi ha fatto capire all’improvviso che stava succedendo davvero qualcosa di importante. In quel momento ho sentito una grande emozione». È salita come un’onda dentro di lui, lasciando un segno profondo: «È un’esperienza così importante, così intensa che merita di essere sperimentata. Anche per questo invito chiunque possa farlo a imitarmi, iscrivendosi al Registro nazionale dei donatori di midollo».

Ci sono stati i rumori metallici della sala operatoria, le voci sommesse, il buio dell’anestesia, poi il risveglio. Gli sono rimasti, per pochi giorni, un dolore lieve e un po’ di stanchezza, che poi sono spariti del tutto, lasciando il posto a una consapevolezza molto più forte: da qualche parte, una persona aveva appena ricevuto un dono che poteva cambiare la corsa del destino. «Sono rimasto a riposo per una settimana per precauzione – ricorda Nicolò, che di professione fa l’assicuratore -, poi sono tornato alle attività di sempre, comprese le partite di calcio, ma con uno sguardo e un cuore diverso».

La scoperta de «La Mitica»

Poco tempo dopo, grazie a un amico di famiglia, Nicolò ha scoperto La Mitica, la nazionale italiana dei ragazzi guariti dalla leucemia e dei donatori di midollo, un’associazione di promozione sociale che organizza eventi, partite, feste e incontri di sensibilizzazione. «Mi sono informato sui loro progetti e li ho trovati bellissimi. È stato quindi naturale per me scendere in campo al loro fianco. Mi hanno accolto con calore e sono diventati come una seconda famiglia. Portiamo sorrisi ai bambini negli ospedali, mostrando loro con testimonianze concrete che dopo la malattia si può guarire e tornare a una vita normale. Cerchiamo di rendere più lieve il soggiorno in ospedale con attività e piccoli doni. Organizziamo feste, partite di beneficenza, raccolte fondi. Negli ultimi mesi, grazie alle nostre iniziative, abbiamo conquistato 23 nuovi iscritti al registro: ognuno rappresenta una possibilità in più di salvezza».

Ha portato «La Mitica» anche all’oratorio di Rovetta, dove svolge tante attività di volontariato, in un incontro con gli adolescenti in procinto di diventare maggiorenni: «Molti di loro - osserva – hanno già chiesto informazioni più approfondite, manifestando molto interesse». Nicolò ha fatto da testimonial anche per Admo, e raccontando la sua storia in contesti diversi si è reso conto di quanti pregiudizi e diffidenza circondino la donazione di midollo osseo: «La prima domanda che mi fanno è se faccia male. Una paura infondata, perché nella maggior parte dei casi avviene con una procedura molto semplice, simile a una donazione di sangue. Solo in pochi casi si rende necessario il prelievo dalle ossa del bacino, come è capitato a me, ma il fastidio, anche in questa eventualità, è molto limitato e transitorio».

C’è anche chi teme di sentirsi abbandonato o poco considerato: «In realtà - aggiunge Nicolò - è proprio l’opposto, il centro trasfusionale dell’ospedale Papa Giovanni riserva molta cura e attenzione ai donatori. Anche se è passato un po’ di tempo dalla donazione sento ancora la mia referente un paio di volte all’anno e continuo a sottopormi ai controlli annuali, che durano per dieci anni. Se ho dubbi o problemi posso sempre scrivere o telefonare, sapendo di ottenere rapidamente un riscontro».

Chi si può iscrivere

In Italia, per iscriversi all’Admo (Associazione donatori midollo osseo) e al Registro nazionale dei donatori bisogna avere tra 18 e 35 anni, pesare almeno 50 kg ed essere in buona salute. Ci sono alcune patologie che precludono la donazione (info su admo.it). L’iscrizione avviene con un semplice prelievo di sangue o un tampone salivare per la tipizzazione. Non si può sapere chi riceva il trapianto, ma si può inviare un messaggio, come ha fatto Nicolò, ispirandosi alle parole di Peter Pan: «Ho scelto la frase che unisce il sogno e il volo perché mi ha colpito molto, mi sembrava che contenesse la giusta dose di bellezza e leggerezza, che potesse offrire slancio e conforto in un momento sicuramente molto delicato. Mettendola su un foglio ho aggiunto un abbraccio e un ringraziamento, perché questa donazione ha portato nuovo slancio e senso anche nella mia vita».

Nicolò ha un fratello gemello, Fabio, e una sorella, Elisa, che poco dopo la sua iscrizione hanno seguito il suo esempio, e poi lo hanno accompagnato e sostenuto in tutto il cammino: «Adesso però sono quasi gelosi - scherza -. Vorrebbero vivere anche loro questa esperienza. Perché è un dono che cambia due vite: quella di chi lo riceve e quella di chi lo fa». Anche altri amici sono stati «contagiati» dal suo entusiasmo, compiendo la stessa scelta.

Porta avanti con entusiasmo l’impegno di far conoscere la donazione di midollo osseo ai giovani, e coglie volentieri l’occasione di raccontare la sua storia in scuole, oratori, convegni. Ogni volta mette l’accento su alcuni concetti fondamentali, perché li ha sperimentati: «È un gesto che non costa nulla e può salvare una vita. È un’esperienza che vale la pena di fare. Bisogna buttarsi».

Così, con le sue parole, Nicolò mostra che il sogno di un mondo dove un gesto semplice, gratuito e generoso possa trasformarsi in vita è alla portata di tutti. Come scrive Emily Dickinson: «Non conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati a rialzarci».
La donazione di midollo può essere proprio questo: scoprire che, mettendosi in gioco a servizio degli altri, si può volare più in alto. E in fondo, quel volo che Nicolò ha iniziato con il primo appuntamento in ospedale non si è mai fermato. Continua ogni volta che un giovane dice “sì”, ogni volta che un malato trova una compatibilità, e che un sogno si trasforma in possibilità, perché “solo chi sogna, può volare».

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